Il ragazzo. La scuola. La maestra. L’emigrazione
Fine anni cinquanta. Domenico Modugno imperversa a Sanremo. La stampa nazionale impazza con le notizie super, alla corte-maggiore. L‘Autosole, tratto dopo tratto, riempie di incantevoli sogni i cuori di milioni di baldi giovinotti italici. Una veloce spider ”possibilmente Alfa Romeo” per volare verso il sole, le splendide e agognate spiagge del sud: sogni, amore, spensieratezza, gioventù, ottimismo. L’Italia che si libera dalla miseria antica e si protende all’abbraccio di un radioso futuro.
La vecchia Milano, letta sui libri di scuola con l’avidità tipica del montanaro che anela a scoprire l’infinito al di là del monte, si presenta ai miei occhi con uno strano, ignoto vestito. Un carnevale fuori stagione. Strani palazzi, Roba da cine-film. Quel dialetto così simile al mio ma più dolce e carezzevole, quasi un vestito del dì di festa. L’incessante parlottio di una umanità in movimento da sembrarmi ricerca frenetica del tempo perduto. Intermezzo di un viaggio.
Un caro vecchio amico camionista mi ha portato seco alla scoperta della città. Per un giorno dimentico i libri, la lezione, il vecchio istituto, quel maledetto professore dai baffetti ispidi “alla riccio spinoso”, il bancaccio dell’aula cinque ove avevo inciso, con la roncola dei contadini rubata al nonno, le maledizioni e gli aneliti di un ragazzo stranamente irrequieto e insoddisfatto. Mani enormi e rugose stringono un volante in continua rotazione. La tortuosa strada del lago di Como, le curve secche a strapiombo sul pelo dell’acqua salmastra, le mille insidie di una gelida mattinata di gennaio non permettono incertezze e disattenzioni. Provo invidia per quest’uomo temprato dalla vita: per la sua sicurezza, per quel suo andare convinto all’incontro con la grande pianura, per la naturalezza con cui pensa e descrive il rientro alle sue, alle mie montagne.
Chissà quando diverrò come lui? Quando scaccerò quello strano terrore dell’avvenire? L’arcana rincorsa ai misteri del ciò che mi aspetta.
Quel voler vincere, domare, da oggi, il domani.
Milano, la mia Milano.
Il primo incontro nel cinquanta, di un bambinello smarrito e triste che accompagna il babbo nel giorno dell’addio: il lungo viaggio del padre verso l’Australia, la terra dell’oro. Enrico mi scuote. Non vi è tempo per nostalgie e ricordi. Forza! Si risale! Non c’è tempo da perdere! Ci aspetta Chiasso, la Svizzera, un cliente da soddisfare, il ritorno.
Si parte. Folate di nebbia ti vengono incontro quasi ad avvolgerti: una molle materia da sembrarti eruttare dalle viscere della pianura, monotona e grigia come lo può essere quassù in una fosca giornata invernale.
Ti vengono incontro mostriciattoli rumorosi dai colori sbiaditi per poi scomparire nel nulla.
È già Chiasso, la frontiera.
Controlli protocollari e severi. Si può continuare.
Pochi metri e il camion si arresta. Siamo attesi. Si può scaricare. Il mio sguardo viene attratto da qualcosa di strano, di non consueto. Chi sono quelli? Mah…. Non sembrano del luogo.
Molti di loro sono ingobbiti in cappotti stranamente stretti e corti. Una sciarpona che sale su su sino agli occhi.
Uno sguardo fisso, penetrante e orgogliosamente austero.
Una miriade di strani berretti.
Valigie da spago cintati, borsoni, più pacchi e pacchetti di varia e segreta natura.
Sono tutti lì. Un’aria stranamente stanca e assieme paziente. Un’attesa. Due tre passi in avanti. È una lunga fila: trecento, quattrocento persone di tutto vestite. Mi lascio attrarre dalla curiosità. M’ avvicino. Cerco di capire, sapere. Scopro volti di giovani già vecchi. Induriti da solchi di rughe profonde, rinsecchite e bruciate dal sole. Facce da storie di vita. La terra arida, matrigna e bastarda che resiste alla cocciuta tenacia del ragazzo che, suo malgrado, la violenta dall’alba al tramonto. Leggo rabbia, tristezze, sconfitte. Scopro da vivo l’altra Italia. Quella di cui non si parla mai.
Mi scorrono immagini, letture, storie di lotte apparse a me, ragazzo dell’estrema provincia lombarda, astratte, irreali. L’esodo di massa racchiuso in un fazzoletto di terra. Centinaia attendono, disciplinatamente in fila, il turno per la visita medica.
Già: occorre essere in buona salute per accedere alla terra promessa.
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