L’eruzione in Islanda dell’Eyjafjallajkull ha proiettato nell’atmosfera, ad una quota di 4/5 km, una massa calda di polveri e gas.
Nella giornata di lunedì 19, i primi dati modellistici davano la presenza della nube nei cieli italiani con un picco previsto su tutta la penisola, e fino alla Grecia, tra martedì notte e la mattina di mercoledì 21. “Uno strato è stato già individuato tra i 1.700 e i 3.400 metri di quota sulla Toscana”, ha riferito Gelsomina Pappalardo, dell’Istituto di Metodologie per l’Analisi Ambientale del Cnr di Tito Scalo.
La nuvola di cenere sprigionata dal vulcano islandese in eruzione in grado di influenzare il clima localmente, ma che potrebbe avere effetti più estesi e più duraturi se parte delle polveri dovessero finire nella stratosfera. “Se le polveri emesse dal vulcano islandese avranno quantità e soprattutto energia (termica) tale da ‘bucare’ la tropopausa e finire nella stratosfera, potrebbero restare anche anni e determinare cambiamenti climatici più significativi”, ha dichiarato Vincenzo Ferrara, esperto di clima dell’Enea alla luce delle nuove rilevazioni sulle correnti in quota e sull’andamento dei venti.
Un nucleo di alta pressione al largo delle coste irlandesi, accoppiato ad una bassa pressione sulle Azzorre, ha formato nell’area una configurazione della circolazione atmosferica nota ai meteorologi con il nome di ‘blocco atlantico’.
Questa configurazione, caratterizzata da venti intensi da nord sull’Europa, è in grado di persistere per diversi giorni e sta ‘spingendo’ rapidamente la nube di polvere verso il sud d’Europa, dove la nube – secondo gli esperti di clima dell’Enea – ha trovato le condizioni ideali per disperdersi sul continente.
L’eruzione sta causando gravi danni al traffico aereo. Per l’eruzione dell’Eyjafjallajkull la situazione è aggravata dal fatto che la nube intercetta gran parte delle rotte polari fra Europa e America del Nord.
Oltre alle conseguenze sul traffico aereo potranno esserci effetti rilevabili anche sul sistema climatico. Le polveri e l’anidride carbonica prodotte dalle eruzioni vulcaniche generano effetti contrastanti sulla temperatura. L’aumento di anidride carbonica tenderebbe ad aumentare temporaneamente l’intensità dell’effetto serra. Tuttavia l’effetto di gran lunga più rilevante è quello dovuto alle polveri.
“A seconda della consistenza e del tipo di eruzione, la nube vulcanica forma uno strato di polveri che può arrivare – secondo gli esperti dell’Enea – anche a rivestire tutta l’atmosfera terrestre. Questo strato funziona da schermo e da specchio per la radiazione solare provocando un importante riscaldamento della stratosfera (sopra la nube) e un raffreddamento dei bassi strati dell’atmosfera (sotto la nube)”.
“Le conseguenze di un’eruzione particolarmente ricca di composti attivi dal punto di vista dell’interazione con la radiazione solare (solfati), vengono osservate solitamente durante i due anni successivi all’evento. Il riscaldamento della stratosfera può superare (come nel caso dell’eruzione del Pinatubo nel giugno del 1991) gli 0.5 gradi centigradi a scala planetaria con conseguente impatto su tutta la circolazione atmosferica. Nella bassa atmosfera le conseguenze delle eruzioni sull’abbassamento delle temperature globali sono meno evidenti anche se nel passato si sono verificati casi eccezionali: l’eruzione dell’aprile del 1815 del Monte Tambora, in Indonesia, ha provocato un tale abbassamento della temperatura da trasformare il 1816 in un anno senza estate”.
Paralizzato il traffico aereo: sempre più compagnie aeree hanno espresso la loro insoddisfazione per la gestione della crisi causata dalla nube di cenere e chiedono ai governi di riaprire almeno alcuni corridoi di transito sopra l’Europa. La direzione generale dell’aviazione civile francese (Dgac) ha spiegato che non si è mai visto “un fenomeno così difficilmente prevedibile dove, di sei ore in sei ore, ad ogni pubblicazione della carta meteo, si scopre qualcosa di nuovo”. “Non penso che si possano prendere troppe precauzioni”, ha affermato il direttore Patrick Gandil.