Roberto Maroni verso la leadership della Lega, l’Api di Rutelli verso lo sfaldamento, il pdl tra vecchio e nuovo, ma è l’ex premier, sotto forma di battuta, a rilanciare il dibattito
Il panorama politico e partitico italiano è in grande subbuglio, come è dimostrato dal Pdl che Alfano e Berlusconi a fatica stanno cercando di tenere unito, senza riuscirci per davvero, al di là delle dichiarazioni, perché c’è chi tende verso Casini (ma solo a parole), chi verso Montezemolo, che non ne vuole sapere di transfughi definiti “vecchi arnesi”, chi verso formazioni locali a sottolineare l’appartenenza regionale o meridionale, come i vari Noi Sud e simili.
Quando il leader Berlusconi aveva il vento in poppa, bastava una sua parola per tenere unito il Pdl, ora non bastano né la sua e né quella di Alfano, anche se a livello di deputati e senatori i numeri non parlano di emorragie serie. In ogni caso, la proposta semipresidenzialista alla francese con legge elettorale con collegi uninominali a doppio turno sta rilanciando le quotazioni del centrodestra. Non c’è solo Maroni e Calderoli che hanno aperto a questa prospettiva che, contrariamente a quello che dicono gli oppositori, ha i tempi per un iter di cambiamento costituzionale; ci sono anche molti nel Pd che dicono di andare a vedere le carte di quello che ha tutta l’aria di non essere un bluff, ma una proposta seria di cambiamento che riguarda sia la funzionalità delle istituzioni, sia la vita dei partiti, sia le alleanze cristallizzate che si conoscono in Italia. Ci sono anche studiosi e politologi di sinistra come Gianfranco Pasquino che la sostengono.
Certo, la lama del rasoio lungo la quale scorre il “rinnovamento” del Pdl non solo è sottilissima, ma anche rischiosa, perché deve coniugare l’appoggio indispensabile ad un governo che sta opprimendo di tasse i cittadini con un nuovo programma, con “nuove” (le virgolette sono d’obbligo) alleanze e con nuovi personaggi. Quella che è stata dall’interessato definita il giorno dopo una “battuta” (“o la Banca centrale europea potrà emettere eurobond, stampare moneta e diventare il garante di ultima istanza del debito pubblico o l’Italia potrebbe uscire dall’euro rimanendo in Europa o anche che ad uscire sia la Germania”), non è in realtà una cosa da nulla. Su questo tema stanno discutendo i maggiori economisti, anche in Europa e in particolare in Germania) e sono in molti ad essere di questo avviso. Bastano poche considerazioni. Continuando di questo passo, passeremo anni in recessione economica e in affanno sociale e finanziario e alla fine potrebbero esserci problemi seri, perché l’Italia potrebbe, alla fine di questo estenuante affanno, ritrovarsi impoverita e fiaccata più di quanto non sia ora. Uscendo dall’euro ma non dall’Europa ci sarebbero difficoltà in termini di potere d’acquisto e di tenuta della (eventuale) nuova lira, ma l’economia, il lavoro, l’occupazione si riprenderebbero con le esportazioni e con un rinnovato (anzi, mai sperimentato) spirito di unità nazionale. D’altra parte, a chi osserva che con questa eventualità potremmo subire un consistente taglio del potere d’acquisto, si potrebbe obiettare che in realtà, con l’introduzione dell’euro e con il cambio duemila lire per un euro, gl’italiani stanno già convivendo da 10 anni con una svalutazione del potere di acquisto di ben il 50%.
Ci rendiamo conto che l’argomento è complesso, ma queste prospettive fanno parte di un dibattito serio e che ci sia nel Pdl lo aiuta a ritornare nell’alveo della politica e delle proposte e lo fa uscire da quello delle polemiche e delle lotte di potere. Avevamo iniziato con il subbuglio che esiste in varie formazioni politiche. Nella Lega, dopo la bufera giudiziaria ed elettorale che ha spazzato via la vecchia dirigenza (che comunque non si sente in pensione, come ha detto Bossi la settimana scorsa), Maroni sembra procedere spedito verso la leadership del partito. Il suo candidato Matteo Salvini in Lombardia ha ottenuto il 75% dei suffragi surclassando il bossiano Cesarino Monti. Nel Veneto Tosi ha ottenuto il 57% sul candidato bossiano. Tutto lascia pensare che la stessa cosa avverrà in Piemonte, le tre regioni dove la Lega è sempre stata forte. Ciò che si va affermando è che dalla fine di giugno, data del congresso, ci sarà un nuovo leader, Roberto Maroni, ma la vecchia guardia, a parte qualche epurazione di fatto già avvenuta (i figli di Bossi), sarà recuperata per non rompere il movimento. Quali saranno le alleanze, sarà un compito che dipenderà dalla Lega, ma anche dall’evoluzione della situazione politica e dalle scelte dei partiti. In ogni caso, nessuno, nemmeno la Lega, potrà permettersi di andare alle elezioni da sola, senza alleanze, specie se ci sarà una nuova legge elettorale.
Anche nell’Api si sta assistendo ad un sommovimento. Il partito di Rutelli (ex Radicale, ex Margherita, ex Pd) approdato al centro con Api (Alleanza per l’Italia) per ricongiungersi con l’Udc di Casini, con i suoi sette deputati e sei senatori (provenienti o dal Pdl come Versace o dall’Udc come Tabacci o dal Pd come Rutelli stesso) sta entrando in una fase di sfilacciamento generale. Tabacci ha dichiarato: “E’ da fine marzo che propongo lo scioglimento di Api”. Vuole un centro moderato alleato del Pd. Ultimamente è uscita da Api Linda Lanzillotta; altri, come Versace e Pisicchio, non sanno dove andare, ma sanno che l’esperienza Api è finita. Motivi? Il senatore Lusi che si è appropriato dei milioni della non più esistente Margherita e il fallimento del terzo polo decretato da Casini politicamente ed elettoralmente dalle ultime due elezioni. L’impressione è che non solo è finita l’esperienza Api, ma anche Rutelli stesso come leader politico.