La politica internazionale ha volato alto la settimana scorsa e il mattatore della svolta è stato il presidente Usa. Due gli appuntamenti importanti: l’Assemblea dell’Onu e il G20 di Pittsburgh; ambedue gli avvenimenti hanno dato un indirizzo preciso nei settori più delicati dei rapporti tra gli Stati.
Adesso, si tratta di vedere se i due piani, quello alto e quello basso, si intersecheranno innalzando il livello delle condizioni di tutti i Paesi oppure se il piano alto rimarrà solo un esercizio dialettico. Cominciamo dall’Assemblea dell’Onu, dove il discorso di Obama era atteso da tutti.
Il presidente americano ha battuto la strada già imboccata all’indomani della sua elezione, quando, rivolgendosi al mondo, tenne a precisare che l’epoca dell’unilateralismo statunitense era finita e che da allora in poi il rapporto tra gli Stati sarebbe stato improntato all’ascolto e alle decisioni condivise.
Ribadita solennemente davanti ai capi di Stato e di governo, a ministri e alti funzionari di tutte le nazioni l’apertura di “una nuova era nelle relazioni globali, basata su reciproci interessi e reciproco rispetto”, Obama ha rilanciato i quattro pilastri della politica internazionale: la non proliferazione delle armi nucleari e il disarmo, la pace tra i popoli, la battaglia del clima e la creazione di un’economia che offra “sviluppo sostenibile e opportunità per tutti”.
Il discorso ha avuto l’apprezzamento generale e il giorno dopo, nella riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, rappresentato non dagli alti funzionari e diplomatici, ma dai capi di Stato e presieduto da Obama stesso, è stata approvata una risoluzione “storica” che rilancia la non proliferazione nucleare.
La risoluzione è stata approvata da tutti e sei i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, anche dalla Russia e dalla Cina, in seguito ad un compromesso raggiunto tra i membri e che prevedeva l’approvazione a condizione che la risoluzione non citasse i nomi di Iran e Corea del Nord, i due Stati che invece lavorano per avere le armi nucleari.
Prima di entrare nei dettagli dei punti appena citati, spostiamoci a Pittsburgh, dove si è tenuto il vertice internazionale del G20, cioè il gruppo delle nazioni più industrializzate e quello delle nazioni emergenti. Fatta chiarezza sulla coesistenza del G8 e del G20 – l’uno con carattere politico, l’altro considerato un “forum internazionale” sugli stessi temi – dal vertice è uscito il “Patto di Pittsburgh”, un’intesa a combattere il protezionismo in economia, a limitare i bonus a banchieri e operatori finanziari e a definire le regole per una finanza etica, quest’ultimo punto già oggetto di un accordo in sede di G8 a L’Aquila nel mese di luglio e su cui l’Italia ha dato un contributo fondamentale.
Dal vertice sono emersi anche due atteggiamenti: l’ottimismo per la crisi economica, che dopo aver raggiunto il punto più critico sembra attenuarsi, e il timore che nonostante la ripresa in vista gli strascichi della crisi saranno pesanti, con il corteo ampio e generalizzato di disoccupazione che comporterà l’affanno di tante industrie. Di qui il monito ai governi ad aiutare l’economia, alle industrie ad innovare, alla banche a non rinchiudersi in sé stesse e a pensare ai propri interessi.
Dicevamo che gli appuntamenti internazionali sono stati di alto livello perché hanno dato nuova speranza in un mondo migliore per il futuro, ma al tempo stesso si è aperta una lotta, quella di sempre, tra la speranza di un rinnovamento e il calcolo degli interessi dei singoli Paesi che spesso obbligano gli Stati a camminare con i piedi di piombo.
Appena dopo la risoluzione per il disarmo, la Cina ha dichiarato che contribuirà agli sforzi per attuarlo ma nello stesso tempo non rinuncerà alla sua sicurezza. La stessa dichiarazione era stata fatta giorni prima dagli Usa, quando lo stesso Obama aveva parlato dei “minimi livelli necessari per la sicurezza nazionale”.
L’Iran, però, non solo non rinuncerà alle armi nucleari mascherate con scopi civili, ma ha ribattuto con supponenza alla scoperta di un nuovo impianto, suscitando le reazioni ferme di Francia, Inghilterra e Germania e facendo dichiarare ad Obama che non si escluderà “alcuna opzione”. Intanto all’Iran è stato dato un ultimatum che scade alla fine dell’anno e che prevede nuove sanzioni se gli obblighi internazionali non saranno rispettati.
Intanto, ci sono da segnalare due atti destinati ad avere un seguito nei rapporti tra gli Stati. Il primo, già accennato nella scorsa edizione, è la rinuncia di Obama allo scudo spaziale nella Repubblica Ceca e in Polonia. Questa decisione ha rasserenato il dialogo tra Usa e Russia, con la possibilità di coinvolgere quest’ultima negli sforzi contro il terrorismo in Afghanistan, ma ha lasciato l’amaro in bocca alla Polonia e alla Repubblica Ceca, che già hanno sperimentato l’imperialismo sovietico ai loro danni. Questi Stati giustamente chiedono all’America una forma di protezione contro le mire russe.
Il secondo atto proviene da politici e intellettuali di vari Paesi che chiedono all’Unione Europea di difendere la Georgia e la sua sovranità violata dalla Russia che ha occupato di fatto territori appartenenti alla Georgia stessa. I firmatari dell’appello paventano un espansionismo della Russia ai danni di Paesi confinanti indifesi. Non a caso nell’appello si fa riferimento al Patto Ribbentroff-Molotov e agli accordi di Monaco che prefigurarono l’invasione ai danni della Polonia. L’appello invita a non dimenticare le lezioni della Storia.
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