Riprendono a Ginevra le trattative tra l’Iran e i “5+1) la cui posta sono la bomba atomica iraniana e le sanzioni economiche dell’Onu
Proprio oggi, a meno che nel frattempo e all’ultimo momento non siano intervenuti dei contrordini, dovrebbe iniziare a Ginevra la seconda fase della trattativa tra l’Iran e i “5+1”, cioè il Consiglio di sicurezza dell’Onu (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna + la Germania, osservatore senza diritto di voto). La prima fase dei colloqui è terminata dieci giorni fa senza un accordo. O meglio, l’accordo si stava per raggiungere, ma la Francia ha fatto saltare il banco. Tutti gli attori hanno convenuto che si sarebbero rivisti nel giro di una decina di giorni. Erano 34 anni che americani e iraniani non si sedevano attorno ad un tavolo, e già questo è stato un fatto positivo, propiziato da una serie di fattori succedutisi all’elezione a presidente di Mohammad Rohani, nella primavera di quest’anno. Il nuovo presidente ha subito fatto delle aperture ad Israele facendo gli auguri agli ebrei iraniani in occasione di una loro ricorrenza importante; prima aveva riconosciuto e condannato l’Olocausto, cosa che mai l’ex presidente Ahmadinedjad aveva osato solo pensare; poi aveva dichiarato la sua disponibilità al dialogo, facendo precedere questa disponibilità dalla volontà dell’Iran di non volere né la guerra né il possesso della bomba atomica. Se quest’ultimo riferimento non ha convinto nessuno, tutti gli altri hanno avuto l’effetto di rendere attenti gl’interlocutori occidentali e il Consiglio di sicurezza dell’Onu. L’atteggiamento, comunque, dell’Iran è stato anche propiziato dall’effetto delle sanzioni, che non hanno piegato il Paese, ma l’hanno costretto a più miti consigli. Di qui la telefonata tra Rohani e Obama e la ripresa delle trattative.
Le quali, come dicevamo, stavano per tradursi in un accordo se non fosse intervenuta la Francia a rompere le uova nel paniere. Qual era l’accordo che si stava per raggiungere? In cambio della soppressione di parte delle sanzioni (sblocco del patrimonio iraniano nelle banche americane per circa 50 miliardi di dollari), l’Iran avrebbe sospeso l’arricchimento dell’uranio al 20%, soglia per l’uso militare; avrebbe limitato l’attività delle centrifughe e avrebbe completato il reattore atomico di Arak entro l’inizio del 2014 ma rimandandone l’attivazione ad altra data. Questa road map sarebbe stata valida per sei mesi.
L’accordo andava bene ad Obama, perché in questo modo si riprendevano le relazioni tra i due Paesi interrotti nel 1979, però non andava bene né ad Israele – che metteva in guardia dalla firma di un accordo che permetteva all’Iran comunque di procedere nella sua politica militare – e nemmeno a Paesi come l’Arabia Saudita, il Qatar, il Kuwait, Paesi sunniti che vedono nell’Iran sciita il nemico. L’accordo non andava bene nemmeno a parte dei repubblicani e dei democratici al Congresso, imbeccati dalla potente lobby ebraica, l’Aipac (American Israel Public Affairs Committe). Tutti gli avversari dell’accordo ponevano l’accento sul fatto che in realtà era una vittoria dell’Iran che dopo pochi mesi avrebbe ricominciato a lavorare – se non addirittura prima – alla sua politica militare che prevede, appunto, la costruzione della bomba atomica.
A farsi interprete di questo “disagio” è stata la Francia, che in sostanza, ha detto: o si fa un accordo globale, valido in prospettiva o non se ne parla. Per accordo globale, la Francia intende la soppressione delle sanzioni da una parte, ma anche abbandono dell’impiego dell’atomo a scopi militari, dunque niente arricchimento dell’uranio, niente sito di Arak. Essendo irremovibile, l’accordo è saltato, con l’impegno delle parti di rivedersi, appunto, il 20.
Nel frattempo, sono emersi due fatti importanti. Il primo, militare, è che secondo un rapporto della Direzione degli Affari Strategici francese la centrale di Arak potrebbe essere operativa già nell’estate del 2014, con Teheran che disporrebbe già di 186 chili di uranio arricchito (bomba a portata d mano). Il secondo, politico, è che si è creato un asse tra Obama e Hollande su una linea dura: l’Iran deve rinunciare alla bomba. Ecco, questi sono i termini del contenzioso alla vigilia della ripresa di una trattativa che non si preannuncia né facile, né scontata.