Ad un anno esatto dalle elezioni americane, la domanda è: ha ragione o torto la giornalista del New York Times a dire che Obama è “il presidente da un solo mandato”? L’editorialista Maureen Dowd motiva la sua convinzione con il fatto che dietro i bei discorsi di Obama regnerebbe il nulla. Difficile rispondere se ha ragione o torto, anche perché tutto, ovviamente, dipende dall’attuale inquilino della Casa Bianca – che recentemente ha dichiarato che essere rieletto sarà dura – e dagli americani. I quali, spesso, danno importanza a fatti che agli intellettuali paiono poco significativi ma in realtà non lo sono. Prendiamo il missile scagliato da un drone americano sull’imam Anwar al Awlaki, ucciso la settimana scorsa in un’azione congiunta tra la Cia e l’intelligence locale. Il terrorista era il numero tre della lista dei ricercati di Al Qaeda più pericolosi, ma era americano, il che significa che Obama, secondo l’associazione dei diritti umani, avrebbe calpestato i diritti costituzionali cui hanno diritto tutti i cittadini Usa, e che quindi l’imam avrebbe avuto diritto ad un processo e non ad una condanna a morte sulla base di “informazioni incomplete” o di prove non valutate in tribunale. Il presidente si è appellato ad un’interpretazione più flessibile dei poteri concessi dal Congresso dopo l’attentato alle Torri Gemelle, in base alla quale la guerra al terrorismo internazionale comporta la difesa con ogni mezzo. Con ogni probabilità, il popolo americano è con Obama, come lo era quando è stato sorpreso dalla notizia della morte di Osama bin Laden ad opera di un commando americano. Più controverso è l’atteggiamento assunto finora in merito alla richiesta all’Onu da parte di Abu Mazen di ottenere l’atto di nascita dello Stato della Palestina, uno Stato sovrano e indipendente. Si sa qual è la posizione del presidente americano, che ha dichiarato che se necessario ricorrerà al diritto di veto degli Stati Uniti per bloccare la richiesta. A suo avviso, lo Stato della Palestina deve essere il risultato di un accordo tra palestinesi e israeliani e non quello di una richiesta unilaterale, che non farebbe altro che prolungare lo stato di contrasti, col rischio di una guerra. Messa così, la posizione del presidente Usa potrebbe anche essere condivisibile, ma è la stessa posizione di Israele, e qui sta il punto. La coincidenza tra la posizione della Casa Bianca e quella di Netanyahu è chiaramente di tipo elettorale. Ad Obama interessa, in questa fase, cioè fino al giorno delle elezioni, non inimicarsi la lobby ebraica, molto forte e tale da condizionare, pare, addirittura il risultato elettorale. Sarà, ma sostenere la posizione israeliana a scopo elettorale quando fino a non molto tempo fa sosteneva una posizione ben diversa gli si potrebbe ritorcere contro. Ecco quello che in un’intervista ha detto Abu Mazen a proposito del veto Usa all’Onu sulla richiesta palestinese: “Gli Stati Uniti, la roccaforte della democrazia, farebbero un torto al popolo palestinese negandogli la libertà e il diritto all’autodeterminazione. E dovrebbero rispondere di questa scelta”. Più in là, l’affondo: “È stato il presidente degli Stati Uniti a parlare di stop agli insediamenti, di confini del 1967. Ora dovrebbe dar seguito alle sue parole”. Vero che è in gioco la sicurezza di Israele, vero che è difficile bloccare gl’insediamenti dei coloni nei Territori palestinesi o addirittura farli ritirare, ma altrettanto vero è che il mondo non può occuparsi ogni giorno di una questione nata nel 1948, cioè 63 anni fa, e che sta tormentando due secoli. Obama, insomma, dovrà decidere guardando oltre le elezioni e gl’interessi elettorali immediati. Il resto verrà. Infine, un’ultima cosa: la crisi economica, che crea ovvio scontento tra i cittadini americani.
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