Alle Nazioni Unite il presidente egiziano Morsi si ritaglia un profilo internazionale da moderato
Prove di diplomazia all’Assemblea delle Nazioni Unite, ma soprattutto prove di nuovi assetti nei rapporti tra gli Stati e all’interno di ognuno di questi ultimi. Come sempre quando tutti i grandi leader prendono la parola, il punto non è quello che dicono su fatti specifici, ma i disegni che tracciano per il futuro. Obama, ormai, sembra avere la rielezione in tasca, per cui tenta di lanciare al mondo un messaggio di dialogo e di libertà, di convivenza civile e di rispetto, non senza prima puntualizzare che gli Usa sono la guida del mondo, che l’America è la potenza egemone. In nome della libertà ha ricordato la morte dell’ambasciatore Chris Stevens, ucciso a Bengasi dagli estremisti islamici, un “martire”, perché Stevens era entusiasta della “Primavera libica”. Obama coglie l’occasione di una platea così ampia ed autorevole per innestare sulla figura di Stevens i concetti di libertà e di pace, che sono principi “che costituiscono la base stessa sulla quale è stata edificata l’organizzazione delle Nazioni Unite: il riconoscimento che i conflitti ci sono ma vanno risolti pacificamente, che la diplomazia deve sostituire la guerra, che in un mondo complesso e interdipendente abbiamo tutti interesse a trovare soluzioni comuni”.
Ma la parte più politico-filosofica del discorso di Obama è stata quella che ha riguardato la libertà e la democrazia, i diritti umani e individuali e perché il messaggio avesse valore pregnante, ha trattato l’argomento in riferimento alle devastazioni commesse dalle proteste musulmane in tanti Paesi contro l’Occidente a proposito del film contro Maometto prodotto in America. A questo proposito, Obama è stato chiaro ed efficace quando ha detto che è un “video disgustoso che offende la dignità e il rispetto di tutti: un insulto ai musulmani”. Ma ha aggiunto subito dopo che è un insulto “anche all’America che accoglie gente di ogni razza e fede”, però – ed è questa la parte davvero importante e laica del discorso dl presidente Usa – “Atti blasfemi contro il cristianesimo, la religione prevalente negli Usa, sono continui e non possiamo fare nulla per impedirli”, proprio in nome della libertà d’espressione, che evidentemente deve valere per tutti e che se viene violata segna la discesa verso l’autoritarismo. Insomma, la libertà delle opinioni deve essere sacra, ma siccome la libertà è anche responsabilità, chi ritiene di essere stato diffamato può ricorrere in tribunale. In ciò Obama sposa i concetti già espressi in Francia sia dal direttore di Charlie Hebdo che dal presidente Hollande in nome della laicità dello Stato. Obama, comunque, non manca di prendersi come esempio: “Come presidente Usa io accetto che la gente dica di me cose tremende. E difenderò sempre il loro diritto di farlo. Sappiamo che, se cominciamo a porre limiti alla libertà d’espressione, questi possono facilmente diventare armi per far tacere chi critica, per opprimere le minoranze”. Con la chiosa: “Nell’era della comunicazione digitale quella del controllo delle informazioni è un’idea obsoleta”.
Sulla bomba atomica, Obama non ha dato soddisfazione a Israele, che s’attendeva una condanna e una minaccia. Obama ha detto soltanto: “Niente equivoci: per noi quella di un Iran dotato di armi nucleari è una sfida intollerabile”. Non ha voluto e potuto dire di più visto che la scadenza elettorale dal 6 novembre è a circa un mese.
Altrettanto diplomatico è stato il discorso di Mohammed Morsi, presidente dell’Egitto, che sta mantenendo toni moderati, dando un colpo al cerchio e uno alla botte. Ha detto che “il massacro e la crisi umanitaria in Siria vanno fermati”, ma che è “contrario all’intervento militare internazionale in Siria”. In poche parole, il modo come affrontare la situazione di crisi spetta alle parti in causa, che devono avere in mente “una transizione democratica del potere”. Insomma, niente guerra dall’esterno, ma solo democrazia, lasciando la porta aperta anche alla possibilità che la transizione sia assicurata da Assad stesso. Il “nuovo” Egitto si presenta al mondo come interlocutore di pace e di affidabilità, ma sotto le parole e gli atteggiamenti concilianti sono in tanti a vedere in realtà una svolta a 360 gradi, come quando, a proposito del trattato di pace con Israele che risale al 1979 e della sua eventuale revisione, il suo portavoce ha tranquillizzato ha precisato che “non è necessario emendare il trattato”, ma ha aggiunto “per il momento”.