Gli Usa stanno raccogliendo le prove dell’uso di armi chimiche da parte del regime di Assad
In Siria si combatte sempre. L’irriducibilità delle parti è tale che si preferisce accumulare macerie invece di trovare una soluzione. D’altra parte, non c’è da stupirsi. E’ così, è stato previsto appena sono cominciate le ostilità tra il regime e i suoi sostenitori interni ed esterni (Iran, Libano e Russia) e i cosiddetti ribelli, formati da fazioni e gruppi disparati, tra i quali si sono inseriti con abilità e forza i qaedisti, fautori del tanto peggio tanto meglio, per volgere a loro favore le sorti del conflitto. Basta guardare le fotografie: quelle che una volta erano città, piazze e palazzi, ora sono un cumulo di rovine, per rimuovere le quali ci vorranno anni ed anni di lavoro. I ribelli stanno annunciando da tempo la loro imminente vittoria, la stessa cosa ha fatto e fa il regime di Assad, ma gli scontri sono diventati trincee, bombe ed attentati sono la musica quotidiana. La guerra può durare ancora anni.
Ultimamente è emersa la questione gas sarin, una sostanza tossica che agisce sul sistema nervoso. Non si sa se di questo gas se n’è fatto un uso strumentale da parte delle opposizioni oppure se il regime lo ha usato per davvero. E’ come con gli attentati che coinvolgono civili, bambini e persone anziane: ognuno accusa l’altro, ma gli attentati e le stragi continuano.
Gli Usa stanno indagando sulla veridicità delle prove. Il Sottosegretario di Stato John Kerry ha parlato di uso sporadico, “un paio di volte”, ha detto; Il responsabile della Difesa, Chuck Hagel, ha parlato di un uso su “piccola scala”. Perché l’impiego del gas sarin è importante? Perché ad agosto lo stesso Obama mise in guardia Assad dall’usare le armi chimiche e precisò che quella sarebbe stata la “nostra linea rossa”, oltrepassare la quale avrebbe comportato una risposta energica americana, compreso l’intervento.
Ebbene, ora la linea rossa potrebbe essere stata superata, ma gli Usa vogliono esserne certi, non vogliono cadere nella stessa trappola in cui cadde l’amministrazione Bush a proposito delle armi chimiche che Saddam Hussein doveva possedere e usare e che invece non sono state trovate, almeno nella seconda guerra del Golfo, cioè dal 2003 in poi.
Il responsabile della Difesa, Chuck Hagel, ha rivelato che i servizi segreti hanno recuperato sul terreno e nel sangue delle vittime elementi che farebbero pensare, appunto, all’uso del sarin, ma ha anche aggiunto che “servono altre prove”. Insomma, il sarin potrebbe essere stato usato anche da una frangia dei ribelli per far ricadere la colpa sul regime e quindi provocare un intervento militare americano, magari sotto l’egida dell’Onu.
Gli Usa, dunque, ci vanno coi piedi di piombo, vogliono essere certi delle responsabilità del regime, anche perché se fosse vero sarebbero tenuti ad intervenire. Ora, la politica americana è quella di mandare avanti gli altri, ad esempio la Francia o la Gran Bretagna che da tempo dicono di voler intervenire militarmente per abbattere il regime di Assad. Intanto, la Casa Bianca ha inviato circa 200 soldati in Giordania, che potrebbero arrivare ad essere 20 mila se le prove dovessero confermare che di uso di armi chimiche da parte del regime si tratta.
A spingere per l’intervento non ci sono solo la Francia e la Gran Bretagna, ma anche Israele, che ha annunciato nei giorni scorsi di aver abbattuto un drone di Hezbollah, i guerriglieri di Dio che si sono schierati a favore di Assad. I Paesi del Golfo contrari ad Assad hanno da tempo mandato soldati in Giordania, dove sono stati e continuano ad essere addestrati e poi mandati a combattere in Siria.
Ricordiamo che ciò che impedisce un intervento internazionale in Siria sono la Russia e la Cina, che hanno posto il veto in sede di consiglio di sicurezza. La Russia, malgrado abbia aperto sul dopo Assad, lo ha fatto più per diplomazia che per volontà. In caso d’intervento militare contro Assad, potrebbe anche decidere di combattere al suo favore. In questo caso, il conflitto non farebbe altro che allargarsi pericolosamente. Il che non sarebbe certo una bella prospettiva.