Minivocabolario di Paolo Tebaldi
«Secondo la teologia morale: il peccato diretto ad impedire la generazione della prole mediante pratiche anticoncezionali. Pratica erotica tendente alla provocazione di un orgasmo sessuale estraneo all’amplesso» (Vocabolario della lingua italiana di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli). La parola deriva dal nome di Onan: «personaggio biblico, figlio di Giuda, sposo’, secondo la legge del levirato, Tamar, vedova del fratello Her, morto senza eredi, ma evitò la nascita di figli perché, sempre per la legge del levirato, l’eventuale primo nascituro di questo secondo matrimonio sarebbe stato considerato figlio del defunto, da cui avrebbe conservato il nome e i beni patrimoniali. Per questo fu punito da Dio con la morte (Genesi, XXXVIII, 6-10). Dalla pratica usata da Onan per impedire il concepimento, deriva il nome di onanismo usato impropriamente ma comunamente per indicare la masturbazione» (Grande dizionario enciclopedico UTET).
Vi è anche una spiegazione più cruda, che si richiama alla psicoanalisi: «Eccitazione solitaria dei genitali, attuata in modo da ottenere la sensazione voluttuosa del coito; è fenomeno normale nello sviluppo psicosessuale e particolarmente nell’adolescenza, ed è altresì diffuso tra coloro ai quali è impedito di avere rapporti sessuali (in ambienti repressivi, nei collegi, nelle prigioni) o che comunque si trovino nell’impossibilità di averne; può tuttavia assumere carattere patalogico, con valore sintomatico di turbe nevrotiche o psicotiche, se viene volontariamente mantenuto nell’adulto come unica forma di soddisfacimento sessuale» (Grande Dizionario della Lingua Italiana di Salvatore Battaglia).
Si usa il vocabolo masturbazione, non in riferimento all’attività del basso ventre, ma, salendo sino alle regioni della scatola cranica, anche anche per rappresentare quella forma di autocompiacimento ozioso proprio dei vanitosi, dei bighelloni, dei narcisi, di coloro che assumono nel proprio linguaggio futile, inutile il centro dei propri interessi, rifuggendo, quindi, dalla realtà della vita, dalla concretezza e dalla bellezza dei rapporti umani; quindi un’attività intellettuale che si esaurisce in se stessa, priva di finalità concrete.
Ma torniamo, invece, a quello che è il significato più comune e immediato del vocabolo che stiamo esaminando. Il prete della nostra parrocchia, padre Filippo, magro, occhialuto, sguardo ascetico, profondo conoscitore delle confessioni di S. Agostino e del Canto XI dell’Inferno nella Divina Commedia ove Dante ha relegato gli incontinenti, nel preparare noi ragazzi alla Prima Comunione, ci ammoniva severamente a non praticare la masturbazione (a quei tempi la parola onanismo era nota soltanto ai lettori del Vecchio Testamento) e ci terrorizzava presagendo a coloro che compivano simile infamante pervertimento l’interruzione della crescita corporea, la cecità e la pazzia. Se le sue affermazioni catastrofiche si fossero realizzate, le città sarebbero state gremite di lillipuziani, di ciechi e di matti.
Anche io che, grazie ai preziosi insegnamenti di una precoce fanciulla, mi divertivo, sotto le lenzuola del letto, nel buio del bagno, nell’angolo scuro e appartato di via dei Francescani, nella penombra e nella solennità del Parco dei Partigiani, a maltrattare il mio pisello, non sono diventato né orbo, né folle e godo di una statura di media altezza. Oggi, dopo mezzo secolo di matrimonio con una dolce, generosa compagna, attorniato da tre magnifici figlioli e da altrettanto stupendi nipoti, l’onestà e il rispetto per il prossimo, mi guarderei bene dal condannare la masturbazione come il peggiore dei mali, ma, semmai, consiglierei loro caldamente di non ricercare il piacere autoerotico, ma di fare l’amore il più spesso possibile e nel migliore dei modi con il proprio partner usando fantasia, ardore, tenerezza.