La legislatura farà il suo corso naturale perché il semestre bianco e le primarie degli schieramenti offrono garanzie di durata al governo
Una buona notizia per Monti e l’Italia: non ci saranno le elezioni anticipate, come una parte del Pd sollecitava e una parte del Pdl auspicava. Lo si ricava dal fatto che tutti e due i più grandi partiti che sostengono Monti hanno deciso che in autunno e comunque entro l’anno si terranno le rispettive primarie per la scelta del candidato premier. Ne consegue uno spiraglio per l’Italia e per il sistema politico: dovrebbe essere confermato il sistema bipolare, cioè con due o più schieramenti che si confrontano elettoralmente su programmi e uomini e poi il vincitore guiderà il governo. Ne consegue, anche, che il tempo che rimane fino alla fine di marzo-aprile, fino a quando cioè resterà in vita l’attuale legislatura, potrà essere consacrata alle riforme vere e ad uscire dalla crisi economica o, comunque, a fronteggiarla con misure adeguate. Oltretutto, a partire da ottobre, inizia il cosiddetto semestre bianco, cioè il capo dello Stato non potrà sciogliere le Camere, secondo quanto dice la Costituzione.
Come si vede, si è aperto una fase della legislatura, breve ma intensa, o così potrebbe e dovrebbe essere, durante la quale Monti dovrebbe poter assolvere il compito che gli è stato assegnato, compito che ha svolto egregiamente con la riforma delle pensioni e che con altri provvedimenti ha svolto con molto meno efficacia. Perché Monti ha assolto il compito bene con la riforma delle pensioni e non altrettanto con le altre riforme, tipo quella del mercato del lavoro? Perché la riforma delle pensioni la poteva fare solo lui, capo di un governo tecnico, e nessun altro governo, di destra o di sinistra, perché materia impopolare. La riforma del mercato del lavoro, non ancora approvata definitivamente, quando lo sarà, sarà poco efficace, perché il capo del governo ha avuto il torto di non farla per decreto secondo la sua idea, ma con un disegno di legge, chiedendo quindi il consenso dei partiti, alcuni dei quali hanno fatto di tutto per annacquarla, al punto che la sua efficacia è dubbia. In Italia, la fine del rapporto di lavoro è non tema di accordo tra le parti secondo una legge quadro, ma questione di tribunale, che può decidere di accettare il licenziamento o di reintegrare il dipendente con il pagamento degli arretrati. Il passo in avanti che la legge da approvare compirà sarà che per una fattispecie di licenziamento, il giudice potrà stabilire non il reintegro ma il pagamento di un numero di mensilità. Ma il progresso è minimo, quasi nullo. In realtà, quando c’è difficoltà di licenziamento, c’è anche diffidenza nell’assumere personale, e il mercato del lavoro, cioè l’economia, viene frenata. Se poi, come è probabile, nel pubblico impiego non ci sarà nessuna novità di rilievo, allora si capirà che questa materia ha ricevuto solo un po’ di belletto, ma non è stata cambiata e non avrà nessun effetto positivo sull’occupazione.
In un articolo di fondo sul Corriere della Sera, gli economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi dicono precisamente questo: che “la direzione del governo è quella sbagliata”. Secondo gli economisti della Bocconi, la priorità dell’Italia non è fare un’autostrada per accorciare i tempi di percorrenza di mezz’ora, se poi l’imprenditore, cioè colui che investe i suoi soldi e crea lavoro “deve attendere dieci anni per la risoluzione di una causa civile, due per sapere da un giudice se dovrà reintegrare sul posto di lavoro un dipendente che aveva licenziato, oltre un anno per essere pagato da un’amministrazione pubblica”. La priorità è “una giustizia veloce”, la “certezza del diritto, regolamenti snelli, un’amministrazione pubblica che faccia il suo dovere e non imponga costi enormi a cittadini e imprese, un’università che produca buon capitale umano e buona ricerca, e una lotta efficace alla criminalità organizzata”. Infine, i due editorialisti hanno da ridire sul fatto che il ministro dell’Istruzione “voglia mettere mano con vari ritocchi alla riforma Gelmini. Si rischia fra l’altro di smontare gl’incentivi introdotti da quella legge, ponendo un limite a quanti fondi pubblici un ateneo può perdere se risulta fra i peggiori”.
Non sappiamo ancora se i sacrifici chiesti agli italiani avranno buon esito, molto dipenderà dalla capacità dell’Europa di adottare politiche non solo rigoriste e di assegnare alla Bce i poteri sovrani per fronteggiare la crisi dell’euro, sappiamo però che una buona riforma della giustizia o del mercato del lavoro dipende esclusivamente dal governo e dalle forze politiche. Monti può giocare la carta della necessità per fare riforme che i singoli schieramenti non faranno mai da soli: approfitti di questo periodo straordinario e irripetibile (partiti alle prese con le primarie, semestre bianco) per fare comunque cose che poi non potranno essere cancellate da chi segue, altrimenti succederà come con le liberalizzazioni e le semplificazioni: una nuova legge per non cambiare nulla.