Assad ha annunciato la sua partecipazione ma gl’insorti pongono come condizioni le sue dimissioni e il ritiro delle milizie sciite di Hezbollah dalla Siria, mentre la Russia accusa gli Usa di boicottare la pace in Siria
La crisi siriana sta andando verso due possibili sbocchi: o sarà guerra, difficilmente circoscrivibile, o sarà l’inizio di una via d’uscita, per ora avvolta ancora dalla nebbia.
La situazione attuale ruota attorno alla Conferenza di pace a Ginevra alla fine di giugno. Usa e Russia si erano impegnate a convocarla nel tentativo di una via d’uscita in Siria dopo due anni e mezzo di guerra civile, di 100 mila morti e di centinaia di migliaia di feriti e profughi ai confini con la Turchia. La Russia avrebbe premuto su Assad per assicurare la presenza del regime, gli Usa avrebbero premuto sulla Coalizione Nazionale Siriana, il massimo organismo politico degli insorti che raggruppa anche estremisti e formazioni terroristiche.
Pochi giorni fa, la Russia ha fatto due annunci. Il primo è che Assad parteciperà alla Conferenza di pace a Ginevra e che se il popolo lo vorrà, si candiderà di nuovo alla presidenza della Siria alle elezioni del 2014, il secondo che aveva venduto alla Siria i missili antiaerei S-300, due notizie che avevano provocato reazioni infuocate tra gli aderenti alla Coalizione degli oppositori, nonché a Israele. Gli insorti, infatti, non si aspettavano che Assad partecipasse alla Conferenza, quindi sono stati spiazzati, tanto più che sulla partecipazione a Ginevra gl’insorti erano divisi. Quanto a Israele, i missili antiaerei S-300 avrebbero reso i cieli della regione una no fly zone per Israele stesso, potendo la Siria contare su un’arma che avrebbe annullato la superiorità di Israele. A Tel Aviv si stava già pensando di fare un blitz – uno dei tanti, per la verità – per distruggere i missili non appena sarebbero arrivati a Damasco, ma poi ha prevalso la riflessione.
Ma procediamo con ordine e ritorniamo sulla Conferenza di pace. Dopo la notizia della partecipazione di Assad, gl’insorti hanno trovato al loro interno un accordo che prevede la partecipazione a Ginevra a due condizioni. La prima è che Assad si dimetta, la seconda che le milizie del movimento sciita Hezbollah, accorso in Siria a sostegno di Assad, si ritirino in Libano. Come si vede, le due condizioni pongono un macigno sulla via della Conferenza ginevrina. Non solo: si rischia in questo modo di fomentare la crisi anche in Libano, che potrebbe divenire terreno di scontro tra sciiti e sunniti malgrado la presenza di una forza di pace internazionale. L’intervento di Hezbollah a fianco di Assad ha capovolto le sorti della marcia trionfale degli insorti, i quali hanno cominciato a perdere quasi tutte le posizioni conquistate e sono accerchiate a Qusayr, la città occupata dagli insorti a dieci chilometri dal confine con il Libano.
Israele, abbiamo detto, vuole fare un blitz per distruggere i missili antiaerei S-300, ma Assad ha minacciato ufficialmente Israele sconsigliandolo dal farlo, altrimenti risponderà con il fuoco, cosa che ha evitato di fare sino ad ora. Anzi, Assad ha annunciato che i missili si trovano già in Siria, quindi se vuole Israele può attaccare, sapendo però che ci sarà una reazione adeguata. Israele, d’altra parte, si sente minacciata da queste armi e invoca la legittimità internazionale di un intervento militare. La Russia, dal canto suo, accusa apertamente gli Usa di voler boicottare la Conferenza di Ginevra dopo averla proposta, ritenendo inaccettabili le condizioni poste dagli insorti (dimissioni di Assad e ritiro di Hezbollah).
Siamo ad una fase interlocutoria della Conferenza, il 5 giugno a Ginevra c’è stata una riunione di rappresentanti di Mosca, di Washington e dell’Onu, ma a nessuno sfugge che la situazione si fa pesante. Il gioco ad incastro va bene finché ci sono caselle da riempire, ma poi, se la diplomazia si dichiarerà impotente, c’è il rischio che parlino le armi. Ed è la situazione che più si teme, soprattutto perché il conflitto uscirebbe dai confini della Siria e potrebbe allargarsi a tutto il Medio Oriente, facendo saltare tutti i paletti diplomatici finora fissati.