Replica all’intervento di Paola Frezza
Ho apprezzato molto la testimonianza dell’insegnante Paola Frezza sul tema delle certificazioni CELI e PLIDA, soprattutto sui contenuti riguardanti l’italianità della nostra comunità e dei nostri ragazzi.
La confusione, l’inerzia e l’indifferenza da parte non solo dei governi e delle istituzioni di turno, ma dell’intera comunità italofona presente in Svizzera ne fa da padrona. Basta andare alle riunioni organizzate con molto impegno da parte del CASLI, e vedere quanta poca gente vi partecipi a parte qualche insegnante e i dirigenti. Dai primi anni della scuola dell’obbligo ho mandato i miei figli ai corsi, e a parte qualche insegnante di basso livello per quanto riguarda la disciplina, il contenuto e i programmi hanno sempre avuto il mio apprezzamento e i miei figli ne hanno tratto (anche se a volte contro voglia) un buon profitto. Si è discusso per anni sulle ingiustizie dei mancati pagamenti agli insegnanti, il calo degli alunni e l’insoddisfazione degli insegnanti, http://www.corsizurigo.ch/scuola2/bel-libro1.jpgche più di una volta ero tentato di mollare e lasciare i miei figli decidere di scegliere se proseguire questo cammino di “tentativo” d’innamoramento (come lo descrive l’insegnante Frezza), verso le nostre radici e tradizioni. Ebbene sono ancora ottimista, che tramite la buona volontà di tutto il corpo insegnante e di coloro responsabili delle organizzazioni, si possa proseguire affinché anche in futuro i figli che verranno della nostra comunità italiana, possano apprendere perlomeno le basi della lingua italiana. Sarebbe bello aprire una rubrica su La Pagina, in cui regolarmente chi è interessato o coinvolto direttamente possa scrivere il proprio pensiero, proporre nuove idee e tanto altro. Proporrei anche come per il liceo Vermigli, che anche gli alunni stessi possano inserire i loro articoli fatti di esperienze, o semplicemente di pensieri buttati, lì ma in qualche modo possano testimoniare, che anche loro sono presenti e contano qualcosa.
Non si è mai chiesto in fondo, ai veri destinatari cioè gli alunni, cosa ne pensino della scuola e dei loro profitti personali. Sarebbe secondo noi adulti, riduttivo dare peso alle loro voci e pensieri, poiché ancora (secondo noi maggioranza) sono troppo giovani e incapaci di esprimersi. Ebbene è qui che si sbagliano tutti quelli che la pensano in questo modo. Anzi si pongono gli accenti creandone una discussione sull’importanza, l’origine e la validità di questi benedetti esami, come se per i diretti interessati avesse un significato. Che cosa può interessare che il libero cittadino definisca che PLIDA e CELI certificano il livello di competenza linguistica senza specificare se di madrelingua o meno?
Ho posto questa domanda a mio figlio e mi ha guardato sbalordito e mentre si chiedeva di cosa stessi parlando, ho capito di come noi adulti possiamo contribuire o no, nel motivare i giovani allo studio e alla conoscenza in generale. Ritornando all’articolo dell’insegnante Paola Frezza, il passaggio che mi ha colpito (emozionato), è stato quando parla del vero obiettivo principale dei corsi. Il riscoprire e ritrovare in classe quel piccolo frammento di italianità che è dentro di ognuno di loro, E soprattutto che deve innamorarsene. Ecco leggendo le repliche l’effetto è esattamente l’opposto. Perché non dialogate cari insegnanti e organizzatori come propone la brava (e come lei altre) insegnanti, dei giochi, dei concorsi teatrali, letterali o musicali. Invece ogni volta che si affronta il tema dei corsi, gli argomenti ricorrenti sono i pagamenti ancora non compiuti, i tagli dei governi di turno e tutto le difficoltà organizzative. Basterebbe privatizzare i corsi e liberarsi dalla dipendenza dello stato italiano, che taglierà e non sono per l’estero ogni forma di pagamento riguardante la cultura. Da parte dei genitori sarebbe opportuno parlare un buon italiano in casa sin dalla nascita dei loro figli, comprare qualche smartphone in meno e pagare senza incertezza questi benedetti corsi. Per finire, vorrei fare un esempio di come altre comunità con problemi ben più grossi di noi italiani, affrontino la questione di trasmettere la loro lingua e cultura alle nuove generazioni.
Nel mio quartiere di Seebach al Gemeinschaftszentrum mensilmente si riunisce la comunità di Sri Lanka. Vengono celebrati dei compleanni o feste di fidanzamento. Niente di stravolgente diremmo noi. Ho avuto “il coraggio” e il previlegio di assistere a uno di questi incontri, e posso affermare che è stata un’esperienza indimenticabile e commovente. Dai cibi tradizionali alla musica esotica e al grande calore umano, ai balli tradizionali dei bambini vestiti a festa, ho capito che a confronto le nostre feste ovunque sparse e settimanalmente organizzate, hanno da qualche tempo perso il vero significato originario. Cosa aspettarsi dunque dai corsi di lingua e cultura? Non è delegando le nostre supposte radici, e litigando per cause politiche, ideologiche o finanziarie, che la nostra italianità sarà tramandata ai posteri. Nella festa srilankese sopra descritta, notai che essendo meno integrati nella mentalità locale, il loro legame era molto forte e direi che sembrava un’unica famiglia. Questi sono gli insegnamenti che farebbero avvicinare i nostri figli all’italianità, e non le beghe tra “noi” anziani di prima e seconda generazione. Non ho affrontato per decenza e vergogna il tema sul sistema legislativo, fatto di previlegi, sprechi e furbizie varie. Eppure da buon italiano, dovrei poterne discorrerne allegramente e come d’abitudine trovare sempre un capro espiatorio. L’importante è riempirsi la propria pancia e mantenere la poltrona occupata, tutto il resto sono chiacchere da bar. “Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere”, ricordava Paolo Vendola citando il Mahatma Ghandi. Bellissimo come concetto. Chissà se sarà messo in pratica in futuro?
Mario Pluchino