Si replica. Tre anni fa Mohammed Saleem, 56 anni, immigrato dal Pakistan, aiutato dai parenti, sgozzò sua figlia Hina. La colpa della ragazza ventenne era quella di essersi innamorata di un ragazzo italiano, di essere andata a vivere con lui e di “vivere” all’occidentale, nell’abbigliamento e nella mentalità. Il delitto fu particolarmente feroce. Mentre i cognati della ragazza la tenevano, il padre la sgozzava, per poi seppellirla nel giardino di casa, in provincia di Brescia.
È di pochi giorni fa, invece, l’arresto del marocchino El Ketawi Dafani, 45 anni, immigrato da 11 anni e residente a Azzano Decimo (Pordenone), con l’accusa di aver ucciso la figlia diciottenne, Sanaa, che lavorava come cameriera in un ristorante di cui era comproprietario il giovane con cui era andata a convivere.
Anche in questo caso, l’omicidio è stato particolarmente efferato. L’uomo qualche giorno prima era andato a comprare un coltello, poi aveva chiesto il permesso di assentarsi dal lavoro ed era andato in cima alla collinetta dove abitavano i due. Quando li ha visti arrivare si è avvicinato e ha aggredito il ragazzo, successivamente ricoverato in ospedale, e sua figlia che è scappata nel bosco vicino; dopo averla inseguita e fermata, l’ha sgozzata per poi tornare tranquillamente a casa, in attesa dell’arrivo dei carabinieri, avvertiti dal ragazzo ferito.
Hina come Sanaa, la replica dello stesso omicidio, stessa accusa (voler vivere all’occidentale), stessa arma (un coltello) e stessa motivazione (aver disonorato la famiglia). Il padre di Hina è pakistano, quello di Sanaa è marocchino, ma quello che li accomuna è la religione musulmana, che evidentemente non è una colpa, ma altrettanto evidentemente gioca un ruolo fondamentale nella causa scatenante della follia omicida. Quanti pensano che l’integrazione non sia possibile con persone che vivono la religione come se si trattasse di una caserma, da questi tragici fatti traggono sostegno alle loro idee. In tutti e due i casi, le famiglie volevano che le ragazze vivessero come in Pakistan o in Marocco, anche se si trovavano in Italia, quindi con il velo, sguardo a terra e uscite razionate solo per la spesa. Altra cornice: amicizie solo tra i connazionali e antenna parabolica perennemente ed esclusivamente rivolta verso il Marocco. Insomma, un’autoghettizzazione. Quest’idea, l’integrazione rifiutata, è una porzione di ciò che accade.
Dounia Ettaib, presidente dell’associazione Donne arabe d’Italia, dice: “Una cosa del genere in Marocco non è mai accaduta e mai a dieci giorni dalla fine del Ramadan”. Aggiunge che questo si è verificato in Italia “a causa dell’indottrinamento di sedicenti e autoproclamati imam che dettano legge. Come quell’imam egiziano che a Milano, prima di Pasqua, ha consigliato ad un giornalista che si fingeva musulmano d’infibulare sua figlia all’età di 10-11 anni. In Egitto l’infibulazione è vietata da 20 anni”.
Dounia Ettaib mette sotto accusa il fanatismo religioso. Anche questa è una porzione della verità. L’imam di Pordenone, che conosceva bene la famiglia Dafani, afferma: “Quello che è successo è orribile. È inaccettabile, ma non tiriamo in mezzo la religione”.
L’imam di Pordenone dice certamente una cosa vera quando dà la colpa all’ignoranza e alla mancanza di educazione, ma è dubbio che la religione – nella versione dei fanatici – non c’entri nulla. Anche questa è un’altra piccola porzione della verità. E un’altra piccola porzione ne individua chi dice che delitti d’onore esistevano anche da noi, in alcune regioni più che in altre, e che forse ne esistono ancora, anche se è cambiata la causa: non più le donne che “disonorano” la famiglia rimanendo incinte prima del matrimonio, ma interessi di clan, affari, lotte tra organizzazioni criminali.
Ha ragione il sociologo Marzio Barbaglio quando dice che ad integrarsi saranno le terze generazioni. Le seconde sono un passaggio preparatorio. Ci vorrà più tempo prima che i pregiudizi atavici vengano sciacquati nel fiume della società italiana, la quale, a sua volta, si gioverà degli apporti etnici e culturali degli immigrati di terza e successive generazioni.
Chi ricorda che anche le donne italiane ed europee un tempo erano discriminate coglie una verità, anche se solo in parte. È vero, infatti, che la storia è piena di discriminazioni, di donne ritenute “streghe”, di roghi, di costrizioni di ogni genere, ma è anche vero che quando un padre arriva ad uccidere – con la modalità dello sgozzamento che è anche un messaggio terribile – ci troviamo in presenza di qualcosa di più grave: la mente di un padre accecato dalla mancanza di amore per i figli e dalla disumanità per inseguire un onore che è solo il frutto della sua fantasia malata.
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