Attraverso l’osservazione di uno dei giochi più irriverenti, arbitrari e chiassosi della tradizione meridionale italiana, l’autore ne indaga le regole che poi sono anche quelle della vita: il potere, l’aggregazione, la rivalsa sull’altro, la solitudine, la voglia di farcela, la ricerca del consenso, dell’amore. Dalla viva voce dei protagonisti, alcuni amici di Tricarico che abitualmente si incontrano per giocare a Padrone e sotto, Michele Cirigliano ci restituisce un ritratto forte, autentico, un po’ rude, senza velature né forzature del Sud Italia, riscoprendo la bellezza autentica della propria terra. In programmazione in tutti i cinema della Svizzera tedesca dal 22 gennaio e in Ticino dal 26 febbraio
Michele, raccontaci di te e della tua passione per il cinema…
Sono Michele Cirigliano, anche se sono originario di Tricarico, in Basilicata, sono nato a Zurigo nel 1976, ho 38 anni. Ho fatto le scuole svizzere, quindi per me il tedesco è la lingua madre insieme all’italiano. A 25 anni ho iniziato a lavorare, sono professore di scuole medie, insegno tedesco, francese storia ed educazione fisica. Per 12 anni ho avuto la mia cattedra, però da quando ho iniziato questo percorso cinematografico lavoro solo come supplente, perché voglio tenermi un po’ libero dal punto di vista del tempo.
Ho sempre avuto la passione per il cinema, fin da bambino. Appena trasmettevano un film in televisione rimanevo incantato. Quello che più preferisco sono i drammi, i thriller e poi i documentari naturalmente.
Come sei arrivato ai documentari?
Ho lavorato come maestro di scuole medie fino a 5-6 anni fa a tempo pieno, poi ho preso una laurea breve in scienze cinematografiche durante la quale ho conosciuto il film documentario e specializzandomi in questo campo. La pratica l’ho iniziato alla Zürcher Hochschule der Knüste dove mi sono candidato con un film che ho fatto per conto mio. L’anno scorso ho concluso il Master di due anni con questo film “Padrone e sotto”. Fino ad allora la passione per il film era basata sulla teoria e sulla passione nel guardare film da spettatore, esserci dentro è sempre stato il mio sogno che non ho mai pensato di poter realizzare. Per me fare film era una cosa abbinata alle leggende di Hollywood, un mondo a parte dove tu non entri facilmente.
Durante il master potevo scegliere la direzione, io ho scelto quella del film documentario perché mi sembra molto più interessante avere a che fare con persone vere e istaurare un rapporto con il protagonista.
“Padrone e sotto” un gioco di carte e di bevute. Come sei arrivato alla scelta di questo soggetto particolare?
Nel film ho fatto un accenno alla motivazione, è un gioco conosciuto soprattutto nel meridione, che mi segue sin da bambino, perché ogni volta che si va a Tricarico e vai a prendere un caffè o un gelato nei bar, ancora oggi senti gli uomini che giocano a “Padrone e sotto”. Si giocava sempre nei retrobottega dei bar e noi ci affacciavamo per vedere, perché fumavano, erano chiassosi, aggressivi, picchiavano sui tavoli e a volte si rimproveravano proprio in maniera pesante. Da bambino ero un po’ impaurito dal gioco e da queste persone, poi tra i 16 e i 20 anni giocavo anche io fra amici.
Questo gioco mi è ritornato in mente perché è qualcosa che riguarda la mia terra, ho pensato che “Padrone e sotto” abbia qualcosa di più profondo e non tanto banale come potrebbe sembrare in un primo momento. Sono andato alla ricerca delle ragioni per cui questi uomini ogni giorno lo giocano, non solamente per la voglia di stare insieme, ma, secondo me, per qualcosa di più profondo, che poi per me è stato un pretesto per entrare meglio nella vita dei protagonisti, nella mia terra, nelle usanze. Mi sono reso conto che questo gioco è per loro un modo per nascondere certi problemi, certi sentimenti repressi, per dar sfogo a quello che hanno dentro, tutta “la loro rabbia”, come spiega bene Enza, per qualcosa che non hanno potuto realizzare. Non meno affascinanti, poi, sono le dinamiche di potere del gioco: tu vinci se riesci ad importi sull’altro, la voglia di comandare.
Come è avvenuta la scelta dei protagonisti?
Diciamo che di vista li conoscevo tutti, poi è stato un mio caro amico ad indirizzarmi al bar di Enza perché lì avrei trovato “le origini”, i visi caratteristici, i caratteri forti. Infatti, appena ho messo piede nel bar ho capito che ero nel posto giusto e lì ho scelto quei 5 che, a parer mio, hanno qualcosa di interessante da raccontare.
Come mai Enza è l’unica donna del film?
Sembra come se la società fosse ancora dominata dall’uomo, anche se poi Enza un personaggio assolutamente positivo…
Positivo e forte. Il mio intento non era quello di disegnare una società ancora patriarcale, è chiaro che in quell’ambito, in quel bar, le strutture sono ancora quelle, perché gli uomini fanno ancora quello che vogliono, all’interno del bar è un mondo al maschile, le donne non oserebbero entrarci. Enza, invece, è una donna forte e la rispettano. Tramite lei ho voluto anche dire che la donna a Tricarico quando sa cosa vuole può imporsi anche all’interno di cerchie che possono sembrare patriarcali e maschiliste.
Come è stato rapportarsi con loro?
Quando hanno sentito che avevo voglia di fare un film su di loro, hanno subito accettato. Avevano voglia di raccontarsi, anche se in un primo momento tentennavano, sono persone che non parlano molto di sé, erano contenti del mio interesse perché di loro non si interessa nessuno. Durante le riprese nel bar erano in gruppo, si mettevano a giocare ed erano più spontanei. Quando dovevo fare le interviste singolarmente, avevano un po’ di vergogna di inibizione. Non tutti si sono concessi subito, qualcuno si è lascato pregare un po’.
Hai amato in particolar modo qualche protagonista?
Sì, qualcuno c’è stato, ma non posso dire dove stanno le mie simpatie. Alla fine però ti affezioni a tutti, ognuno è molto diverso dall’altro.
Il gioco “Padrone e sotto” risulta una metafora della vita secondo cui ognuno dipendiamo dall’altro e nello stesso tempo bisogna stare in guardia per non farsi affossare…
I miei protagonisti entrano nel bar e giocano a “Padrone e sotto” per stare insieme perché la solitudine in molti di loro è un tema importante, quindi il bar è un punto di ritrovo e il gioco è un momento di aggregazione, dove ci si sente far parte di un gruppo. Però allo stesso tempo è un gioco crudele, se non stai attento e se hai sfortuna puoi esserne escluso. La metafora che cercavo di mettere in luce è che anche noi nel quotidiano siamo sempre coinvolti in gruppi nella nostra società dove però, in molti casi, se non siamo conformi a certe caratteristiche è facile esserne esclusi.
Cosa ti ha lasciato questo film?
Mi ha veramente permesso di conoscere meglio la mia terra. Sono riuscito a vedere posti che non avevo mai visto, entrare in case che non conoscevo, assistere a particolari momenti che non ho mai vissuto, come la caccia dei cinghiali o la castrazione dei maiali. Poi questo affetto che provi per la tua terra, ogni volta che si ritorna senti qualcosa, però magari la vedi da lontano, senza entrare nel vivo, sentire proprio la terra sotto ai piedi, sporcarti, andare in cerca di questi maiali, andarci con gente che là ci vive, per me è stata un’esperienza nuova.
Cosa ti aspetti che arrivi da questo film?
Intanto già quello che è arrivato per me è stata una sorpresa graditissima e inaspettata, veder proiettato il film a vari festival, anche importanti, poi adesso partiamo al cinema, tra un po’ lo trasmetteremo in televisione, Rsi e Rsf. Spero che questo possa essere un trampolino di lancio e possa facilitare il finanziamento del prossimo progetto.
Eveline Bentivegna