La vita di Paolo Nespoli, astronauta, sembra un film. Anni ‘80: militare in Libano, al servizio dell’esercito italiano. Anni Novanta: master in Scienza e Ingegneria Aerospaziale alla New York University. A partire dagli anni Duemila partecipa a tre missioni spaziali internazionali, collezionando quasi un anno di permanenza in orbita. Oggi collabora con il Massachusetts Institute of Technology-MIT, il più antico politecnico americano, con un gruppo di scienziati che comprende anche dei premi Nobel.
Come inizia la tua carriera?
Ho sempre desiderato essere un astronauta. Grazie alla mia formazione militare nell’Esercito Italiano, ho capito che con la giusta mentalità, passione, determinazione, un buon gruppo di lavoro e con un adeguato equipaggiamento, anche le aspirazioni impossibili talvolta si riescono a realizzare. E ci sono riuscito.
Hai lavorato in progetti spaziali in Italia, Olanda, Germania, Russia, Stati Uniti, Cina: in questi paesi ci sono delle differenze nelle procedure?
Sostanzialmente la metodologia delle attività spaziali è comunque molto simile. I protocolli tecnico-scientifici da rispettare, anche se diversi, ormai sono standardizzati. Con una mentalità italiana, completata dai metodi di lavoro europei ed americani, un professionista può anche andare in Russia e, a parte la lingua, sentirsi come fosse a casa.
La formazione culturale italiana ti è di aiuto nel lavoro?
Riconosco che per il fatto di essere italiano nelle situazioni problematiche talvolta sono riuscito a trovare soluzioni fuori dalla normalità. Ma mi sono state d’aiuto anche le esperienze nell’esercito e la mia istintiva curiosità. Non mi accontento di lasciare le cose come sono.
I sistemi informatici degli astronauti sono diversi da quelli che usiamo tutti i giorni?
Nello spazio cambiano le condizioni di utilizzo degli apparati informatici. In orbita si lavora in assenza di gravità. La stazione spaziale è una macchina che deve lavorare senza interruzioni per mantenerti in vita. Chi sta sulla terra effettivamente fatica a prevedere tutte le problematiche che noi incontreremo nello spazio. Spesso per completare degli esperimenti gli astronauti debbono addirittura essere in grado di aggiornare l’intero sistema informatico.
Nelle tue missioni hai mai avuto paura?
Non ho mai avuto paura nei trecentotredici giorni che ho vissuto nello spazio. Per un astronauta la paura è un sentimento negativo. Ti blocca in situazioni che non conosci ed in cui immagini che può accadere qualcosa di estremamente grave: nello spazio può succedere. Ma la paura si può dominare con un buon addestramento tecnico. Il nostro dura almeno cinque anni. In questo periodo l’astronauta è allenato a risolvere situazioni estreme. Concluso il periodo di istruzione l’astronauta è veramente pronto ad ogni imprevisto. Chi viene mandato in orbita non è mai uno sprovveduto. Ecco perché nello spazio non ho mai avuto paura: sapevo di essere preparato.
Come si seleziona un astronauta?
L’astronauta è una persona del tutto normale. Qualificata, pronta a lavorare in gruppo, in condizioni difficili e disposto a risolvere tutti quegli imprevisti per i quali potrà contare solo sulle istruzioni che riceverà dalla base di lancio.
Nello spazio ciascuno deve seguire quanto è stato pianificato per lui. Senza sovrapporsi al lavoro dei colleghi. Né sovraccaricare le risorse della capsula che sono limitate, e seguire le istruzioni che riceve dagli scienziati sulla terra. Spesso senza neppure avere il tempo di rendersi conto di quanto gli chiedono di fare.
Che emozioni si provano guardando il nostro pianeta dallo spazio?
In orbita perdiamo la sensazione di avere un corpo. Vediamo la terra con l’anima. Dallo spazio si comprende che noi umani abbiamo un eccessivo impatto ambientale sul pianeta. La nostra terra appare senza frontiere. Dovremmo tutti iniziare a pensare come una comunità collettiva, che condivide un destino comune.
Dal punto di vista ambientale la nostra terra è soggetta a fenomeni naturali che si influenzano reciprocamente, in continuazione. Dalla terra non ce ne accorgiamo. Vista dallo spazio la terra non è un pianeta fragile. Se noi umani continueremo ad influire sulle condizioni ambientali che ci consentono la vita, come la atmosfera e la temperatura, tra due o tre milioni di anni il nostro pianete tornerà ad essere esattamente come è stato in origine. Ma noi, domandiamocelo: esisteremo ancora?
Possono esistere altre forme di vita nello spazio?
Non ho mai incontrato extraterrestri. Ma non si possono esprimere giudizi categorici. Dalla terra è difficile comprendere l’ universo. Tempo e spazio sono concetti diversi dai nostri. Ecco perché dobbiamo evitare di negare in modo assoluto la presenza di altre forme di vita nell’universo. Anzi: personalmente credo che da qualche parte esistano nello spazio. Il punto è che noi non riusciamo neppure ad immaginarci a quale distanza siano, né dove.
Che bilancio fai della tua vita?
È una domanda che non mi sono ancora posto: la mia esperienza professionale continuerà. Nell’immediato sicuramente c’è la divulgazione tecnico-scientifica per le giovani generazioni. Essere astronauta non vuol dire necessariamente essere una persona fuori dall’ordinario. Anche un ingegnere spaziale, come tutti, può avere una vita normale. Mi piace ricordare ai giovani che per realizzarsi non è necessario diventare attrice o calciatore, ma innanzitutto seguire le proprie aspirazioni, passioni, desideri. Nella vita conta solo quello che veramente desideriamo essere.
Progetti per il futuro?
Continuerò a fare l’ingegnere, come ho sempre desiderato. Quando in passato l’umanità ha pensato a cose impossibili poi con il passare del tempo è riuscita a farle. Pensiamo al teletrasporto, allo spostamento immediato attraverso lo spazio della materia da un luogo all’altro. Bisogna cominciare a pensarci. Iniziamo a sognare l’impossibile: un giorno lo realizzeremo. E potremo raggiungere nuovi mondi.
NL TOMEI