Partiti e organizzazioni sono scettici e criticano l’avamprogetto del governo sulla parità dei sessi
La scorsa settimana è terminata la consultazione sulla legge sulla parità dei sessi (LPar).
Il 18 novembre 2015 la revisione della legge era stata proposta dal Consiglio federale e prevede che i datori di lavoro che impiegano più di 50 persone siano obbligati a svolgere un’analisi dei salari ogni quattro anni. In questo modo si dovrebbero scoprire persistenti diseguaglianze salariali e nel migliore dei casi saldare le differenze. Il progetto è stato però bocciato dai partiti e dalle organizzazioni e un’entrata in vigore dell’articolo costituzionale appare difficile.
Per i partiti di sinistra la proposta è limitata. Nell’ala destra del Parlamento, l’UDC trova le riflessioni superflue e giudica l’attuale LPar sufficiente, mentre il PLR è dell’opinione che le proposte nuocciano ai valori liberali. L’organizzazione femminile, alliance f, auspica che gli autocontrolli siano estesi a tutte le imprese e la LPar dovrebbe toccare anche la conciliazione tra vita professionale e famigliare. Secondo i sindacati l’approccio è minimalista e l’analisi dovrebbe toccare tutte le imprese ed esigono sanzioni più severe, chiedendo di essere coinvolti nel processo di abolizione delle disuguaglianze. Diverso il parere del padronato che mette in risalto le misure volontarie adottate dall’economia privata, che hanno permesso ottimi risultati. Il progetto è eccessivo per l’economia, genera troppa burocrazia ed è una minaccia per la flessibilità del lavoro. Inaccettabile è la proposta di liste nere con i nomi di imprese che non rispettano le regole della LPar. Il Governo elaborerà prossimamente una legge, ma considerando la maggioranza borghese in entrambe le camere federali, uscita dalle ultime elezioni, sarà un’impresa che la riforma della LPar superi lo scoglio parlamentare.