Il leader di “Rivoluzione civile”, Antonio Ingroia, blocca il patto di desistenza con Bersani perché quest’ultimo guarda troppo al centro
Tante sono le ultime novità nel centrosinistra che conviene dividerle per temi: quello delle alleanze, quelle dei candidati e quelle del programma. Cominciamo da quelle dei candidati, che è l’argomento più sbrigativo. La commissione istituita ad hoc ha escluso Mirello Crisafulli (Enna), Antonio Papania (Trapani) e Nicola Caputo (Caserta) ed altri, ma ha salvato Francantonio Genovese (Messina), mister ventimila preferenze, più chiacchierato di tanti altri. Forse pesa la sua provenienza politica (Dc) o forse proprio le preferenze. In ogni caso, c’è un po’ di scontento, come capita i tutti i partiti, ma il rammarico più diffuso riguarda l’esclusione di molti candidati colpevoli di non far parte della maggioranza di Bersani. Renzi, insomma, è stato penalizzato per una serie di valutazioni che riguardano la tenuta della futura maggioranza di governo, anche in rapporto a possibili fughe che tra l’altro già sono avvenute.
Nel centro i problemi legati alle candidature si sono verificati più alla Camera che al Senato, nel senso che al Senato i candidati sono stati supervisionati da Monti in persona. Alla Camera, dove a dirigere l’orchestra erano Fini e Casini, se ne sono viste di tutti i colori, a cominciare da Alessio De Giorgi, presidente di Gay.it di cui sono apparse sui giornali foto carnevalesche di tette e culi e che lo hanno costretto a rinunciare alla candidatura, per finire con la schiera di parenti e amici inseriti nelle liste Udc e Fli.
Ma le novità vere riguardano i punti programmatici, che risultano obbedire più a tattiche e ad umori elettorali che a programmi ponderati. Anche in questo campo, sta succedendo in tutti i partiti. Esempi? Prendiamo la patrimoniale. Ne avevano parlato sia Bersani che Monti, l’uno per introdurla, l’altro per auspicarla nel caso ce ne fosse stato bisogno. In realtà, poi, il tiro è stato corretto da Bersani, che ha fatto marcia indietro dicendo che già c’è, ed è l’Imu, e anche da Monti, che ha cominciato a parlare di diminuzione delle tasse mentre fino a poco tempo primo il tema non era all’ordine del giorno. La stessa Imu da Monti era stata sostenuta senza mezzi termini, arrivando a prefigurare scenari disastrosi se fosse stata tolta, salvo poi a ipotizzare la possibilità di “modificarla”. Sia Bersani che Monti, evidentemente, devono rincorrere i messaggi di Berlusconi, che ha parlato di abolizione dell’Imu relativamente alla prima casa, e della detassazione totale degli oneri sociali per un certo numero di anni per le imprese che assumeranno i giovani, argomento successivamente ripreso anche da Bersani e da Monti in maniera più generica. Insomma, le proposte si rincorrono, con l’impressione che sia iniziata una gara a chi promette di più.
L’agenda Monti – espressione con cui si allude a rigore nelle uscite e a riforme istituzionali e sociali – sembra essere stata lasciata da parte da Monti stesso, quando in un’intervista ha detto con sufficiente chiarezza che intenderà riformare la stessa riforma Fornero sul mercato del lavoro, dal suo governo approvata dopo mesi di trattative, ma ritenuta una legge che, almeno per quel che concerne la flessibilità in entrata e in uscita e l’eccessivo potere concesso alla magistratura del lavoro, non ha prodotto nessun reale miglioramento, se è vero che la società di navigazione Costa crociere non riesce a licenziare il comandante che con la sua superficialità ha combinato tutti quei danni alle persone e alle cose.
Ed ora veniamo alle alleanze, perché qui c’è stato e c’è tuttora fermento. Innanzitutto l’incontro segreto tra Bersani e Monti, tutto teso a neutralizzare la rimonta di Berlusconi. Bersani ha detto in sostanza che la campagna elettorale tra il centrosinistra e il centro dovrà essere all’insegna della distinzione, ma non dell’attacco frontale, anche perché dopo le elezioni toccherà incontrarsi per comporre una maggioranza larga e credibile. Insomma, il nemico, dice Bersani, è Berlusconi, non Monti, che sembra essere totalmente d’accordo. Sempre in tema di alleanze, è venuta la risposta di Monti che è stata diretta da una parte al Vaticano (”Il matrimonio è solo tra uomo e donna”), dall’altra a Vendola, per metterlo in guardia a non spingersi oltre sui diritti civili.
Se nel più recente passato Vendola ha tenuto a sottolineare la distanza tra Sel e Monti, recentissimamente il leader di Sel ha aperto alla collaborazione con Monti sulla riforma istituzionale. L’apertura di Vendola a Monti – anche se Casini ha tenuto a precisare che sarebbe “fantascienza” vedere lui e Vendola ministri dello stesso governo – non è sfuggita ad Antonio Ingroia, leader di “Rivoluzione civile” che ha siglato un patto con Di Pietro e vari esponenti ex Italia dei Valori tipo Leoluca Orlando e De Magistris. Ingroia ha detto che la trattativa con il Pd si è bloccata, anche perché a suo giudizio l’alleanza tra Bersani e Monti è stata già siglata, e siccome “Rivoluzione civile” vede in Monti il campione della difesa delle banche e non dei lavoratori, a lui non interessa più né un accordo di desistenza, né un patto di governo. All’indirizzo di Bersani ha lanciato solo un messaggio di sfida: “Ci vedremo in Parlamento”, alludendo forse al fatto che Bersani potrebbe avere bisogno dei suoi voti, specie al Senato, dove la sua maggioranza potrebbe essere insidiata dalla rimonta di Berlusconi
Il rischio paventato da molti commentatori è che si sta riformando un’alleanza talmente eterogenea (da Buttiglione a Vendola, da Fini e Casini a Di Pietro e Ingroia) che riproporrebbe la vecchia Unione , buona per vincere, ma non pere governare.