La riforma Fornero è da modificare. Elsa Fornero: “Le condizioni di emergenza ormai sono superate”
Fornero contro Fornero. Sembra un gioco di parole, invece è quello che emerge dall’ultimo intervento dell’ex ministro del Welfare Elsa Fornero, la stessa che realizzò la riforma delle pensione, conosciuta proprio come riforma Fornero, attuata durante il governo Monti. Il dibattito riemerge proprio in vista del 9 settembre prossimo, quando cioè riprenderanno in Commissione Lavoro le discussioni sui vari Ddl che vorrebbero cambiare l’attuale riforma pensionistica, concedendo misure a favore della pensione anticipata. L’ex Ministro del Lavoro difronte ad una situazione cambiata, poiché le “condizioni di emergenza nelle quali nacque la riforma ormai sono superate”, ammetterebbe anche una maggiore flessibilità.
Il governo, che sta per mettere a punto la legge di stabilità, avrebbe margini per rivedere il sistema previdenziale e reintrodurre flessibilità nell’età di pensionamento. Il taglio della pensione per chi decide di uscire prima dell’età di vecchiaia che potrebbe mettere insieme le ragioni della finanza pubblica e l’esigenza di maggiore flessibilità potrebbe essere del 3-3,5% l’anno. “La riduzione dell’assegno per chi vuole andare in pensione prima va calcolato secondo criteri non lontani dall’equità attuariale, vale a dire il 3-3,5% per ogni anno di anticipo rispetto all’età di vecchiaia, e magari con criteri più generosi per i lavoratori precoci e per certe categorie di lavori particolarmente faticosi” spiega Elsa Fornero. Sotto il profilo della finanza pubblica – dice Fornero – l’Italia resta in situazione difficile ma si può recuperare un po’ di flessibilità perché la situazione di emergenza nella quale la riforma fu introdotta è superata. L’Italia però resta in una situazione difficile e gli interventi devono essere molto ponderati. Fornero ribadisce l’utilità di un contributo di solidarietà sulle pensioni più alte, quelle che hanno avuto i maggiori vantaggi dal sistema di calcolo retributivo, e ribadisce di non comprendere le ragioni per le quali questa strada, che andava nel senso della riduzione delle diseguaglianze, sia stata rifiutata nella sostanza dalla Corte Costituzionale.
“Un taglio limitato al 3-3,5% annuo avrebbe un onere per la finanza pubblica, ma sarebbe meno costoso delle altre proposte in campo. Come quella di Baretta e Damiano e quella sulla quota 100 tra età e contributi”. I calcoli di Damiano tengono conto del fatto che “non tutti i lavoratori sceglieranno di andare in pensione a 62 anni e bisogna anche considerare i risparmi che si produrranno con meno Cassa integrazione e meno ammortizzatori sociali per gli ultra sessantenni che hanno perso il lavoro e che non trovano un reimpiego”. Con il taglio limitato al 3-3,5% annuo un anticipo di tre anni costerebbe al pensionato il 10% dell’assegno a fronte del 25-30% al quale si potrebbe arrivare calcolando tutto con il contributivo. Quest’ultima sarebbe – dice – una “finta flessibilità” perché sarebbe una scelta troppo onerosa per il lavoratore.