Nel cantiere della maggioranza sono entrati due provvedimenti, la riforma della giustizia e la riforma dell’Università.
La prima ha suscitato aspre polemiche da parte dell’Anm (il sindacato dei magistrati) e delle opposizioni ed è vista come una vendetta della maggioranza contro i magistrati. La maggioranza la ritiene indispensabile perché non è possibile – si dice – che un pubblico ministero possa diventare poi un giudice. È la famosa separazione delle funzioni e delle carriere.
La riforma prevede non solo la separazione delle funzioni e delle carriere, ma anche la responsabilità civile del magistrato che per superficialità o per deliberata volontà arreca danno ad un innocente ingiustamente tenuto in carcere.
Negli ultimi giorni è stata proposta l’idea, sostenuta dal Presidente del Senato, di una riforma condivisa istituendo una Commissione bicamerale (“una bicameralina”), sul modello di quella messa in piedi tra il 1996 e il 1998, ma la proposta non è andata avanti perché il clima di scontro non è favorevole alle intese.
La riforma dell’Università è avversata dai baroni universitari ed è ritenuta insufficiente dalle opposizioni, ma vari intellettuali la ritengono valida perché dà una svolta alle assunzioni di nuovi docenti, assegna una parte dei fondi sulla base dei risultati scientifici ed elimina gli sprechi dovuti ad una moltiplicazione di corsi e di sedi distaccate per motivi clientelari. Molto probabilmente questa riforma sarà presentata in tempi molto ravvicinati in Consiglio dei ministri e sarà approvata nel giro di sei mesi.
Ma è il dibattito sulla politica economica del governo che ha fatto salire la temperatura nella maggioranza. Lo scontro è stato ed è tuttora serio perché ci sono due linee che si scontrano: quella del Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che è per il rigore, e quella di altri ministri che sono per l’allentamento dei cordoni della borsa.
Tanto per fare un paio di esempi, citiamo innanzitutto la nascita della Banca del Sud, voluta da Tremonti per dare più credito e con minori interessi alle piccole e medie industrie del Mezzogiorno per favorirne lo sviluppo, ma avversata da altri ministri, che, invece, vorrebbero più finanziamenti per progetti. La differenza è enorme: da una parte c’è il credito alle imprese per creare lavoro e sviluppo, senza gravare sullo Stato, dall’altra ci sono finanziamenti per progetti che poi magari finiscono nel nulla. Sono anche due filosofie diverse: quella del rigore (Tremonti) e quella della spesa (gli altri).
Altro esempio: i progetti non sono solo quelli regionali, ma anche le riforme, che costano.
Tremonti pone l’alt mentre gli altri ministri affermano che senza le riforme non si può andare avanti. Le due linee non sono dei capricci, sono serie e si sono scontrate, al punto che il ministro Tremonti ha chiesto un incontro con il Presidente del Consiglio per essere supportato nelle scelte finora fatte.
Il vertice c’è stato, con un Berlusconi che ha chiesto a Tremonti di aprirsi ai suggerimenti provenienti da altri ministri e con un Tremonti che ha detto che la sua politica economica “non ha alternative”.
Il ministro ha messo sul piatto i buoni risultati nella gestione della crisi economica, ma siccome l’Italia ha un debito pubblico tra i più alti (primo in Europa e terzo nel mondo), i conti si sono scaricati sui bilanci pubblici. In sostanza, ha detto il Ministro dell’Economia, non si può per adesso eliminare l’Irap (la tassa delle imprese che ne raggruppa altre quattro) perché altrimenti ci sarebbe un buco non colmabile. L’eliminazione dell’Irap era stata ripresa pubblicamente anche dallo stesso Berlusconi nell’assemblea Cna (commercianti e piccoli imprenditori), suscitando il malumore di Tremonti, anche se il Presidente del Consiglio aveva parlato di gradualità.
Il chiarimento a due, poi diventato a 4 con Bossi e Calderoli, ha evitato polemiche, Tremonti non sarà vice Presidente del Consiglio con delega totale sull’Economia (in questo caso avrebbe dimezzato Berlusconi), ma non ci sarà altra linea in alternativa a quella finora messa in atto. Tremonti ha fatto pesare anche la reazione degli Istituti finanziari internazionali, finora favorevoli e mal disposti a cambiamenti contro il rigore. Al più sarà rivista nel tempo la parte dell’Irap che riguarda la tassazione sul personale, ma si tratta di aggiustamenti. L’Italia – è questo il messaggio forte – sta uscendo dalla crisi ma non può fare i passi più lunghi della gamba.
Sul versante dell’opposizione, a parte l’esito delle primarie, di cui si parlerà in altre pagine, sono da segnalare la denuncia di D’Alema per diffamazione a mezzo stampa contro “Il Giornale” e le dimissioni di Marrazzo da Presidente della Regione Lazio.
Tutti e due questi avvenimenti sembrano provenire da una sorta di nemesi storica. D’Alema, che partecipa alla manifestazione per la libertà di stampa in polemica contro le denunce di Berlusconi contro Repubblica e l’Unità, è lo stesso che poi denuncia a sua volta Il Giornale soltanto perché è stato pubblicato un passaggio degli atti processuali di Bari, dove si afferma “nel 1999 i fedelissimi dell’allora premier avevano rapporti con prostitute in cambio di favori”.
Quanto a Marrazzo, 4 carabinieri, poi arrestati, lo ricattavano perché aveva rapporti con transessuali. Marrazzo ha negato sia i video che il pagamento, ma poi, di fronte all’evidenza, ha ammesso le sue “debolezze” e si è dimesso. Si può dire, ma questo vale per il Pd, che chi di gossip ferisce, di gossip perisce. Se si soffia su cronache e trasmissioni che per mesi accusano il Presidente del Consiglio di essere andato a letto con una escort (anche se lui non lo sapeva), non si può invocare la propria superiorità morale andando con i trans e minimizzando (vedi anche Sircana).
La civiltà esige che le abitudini sessuali riguardino la sfera privata di tutti, amici ed avversari.
✗[email protected] Tremonti nessuna alternativa al rigore
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