Minivocabolario di Paolo Tebaldi
La piazza (intendiamo quella principale) è un’area pubblica, circondata da edifici d’importanza architettonica e monumentale, nel quale confluiscono diverse strade di una città, di un paese, di un agglomerato urbano. Rappresenta, quasi sempre, il centro storico, il fulcro della vita sociale, politica, culturale di una comunità. Il luogo, in particolare in Italia, dove le persone s’incontrano per chiacchierare, per discutere, per stare insieme, per vivere momenti di convivialità e di amicizia. Il più delle volte è frequentata da capannelli di uomini che si scambiano opinioni sullo sport, la politica, le vicende metropolitane. Meno assidua la presenza di donne, che preferiscono o il mercato, gli empori, i contatti all’interno delle abitazioni o i circoli dove si gioca a burraco, a canasta, a poker, si organizzano manifestazioni di beneficenza, si confrontano pareri sulle mode, i tic, le curiosità e i segreti del tempo. Tra le diverse locuzioni di questo termine, citiamo: «fare piazza pulita di qualcosa o di qualcuno», ovvero, l’attuale rottamare, verbo coniugato da Matteo Renzi; «mettere in piazza», sbandierare fatti di cronaca, i propri o gli altrui „panni sporchi“; «prendere piazza», far valere una tendenza, una idea; «letto ad una piazza, a due piazze», a seconda che ci dorma il single, solitario per scelta o per necessità, o una coppia che riscaldi il talamo con erotici amplessi; «tastare il polso alla piazza», cercare di prevedere gli orientamenti, le scelte dell’opinione pubblica anche se oggi, in verità, si preferisce tastare il terreno con i sondaggi degli istituti di ricerca; «scendere in piazza», manifestare contro il „governo ladro“ i „padroni°, la casta dei privilegiati.
Nella Grecia della classicità, la piazza, l’Agorà, costituiva il cuore del potere politico, religioso e commerciale della città, l’espressione più alta della democrazia, lo spazio dove i cittadini si riunivano in assemblea per deliberare sulle questioni d’interesse generale. L’antica società romana riprese e magnificò i simboli della polis ellenica, di modo che la piazza, con la maestosità delle sue terme, dell’arena, del porticati, dei templi e dei teatri, diventava il foro per eccellenza, la testimonianza nel mondo della grandezza dell’impero romano.
Oggi la parola di cui stiamo parlando ci riporta indietro negli anni, al 1989 e ricorda il 25° anniversario di Piazza Tienanmen a Pechino, quando migliaia di cinesi, studenti, operai, intellettuali, riunitisi pacificamente per raclamare democrazia, liberta di pensiero, di parola, di associazione, subirono la brutale repressione di 200.000 soldati mandati dal governo su mezzi corazzati. Non si saprà mai con precisione quante furono le vittime della ferocia del regime comunista. E ancora oggi, in quell’immenso paese asiatico, i fondamentali diritti dell’uomo sono violati, capelstati da un regime autocratico.
Oltre a rievocare il passato e i martiri per l’affermazione della dignità umana, non possiamo fare a meno di rivolgere il pensiero alle piazze di questo 21° secolo, in Africa, in Asia, in America Latina, gremite di uomini e donne che rivendicano l’emancipazione dalla povertà, dalle tirannide, dalle oligarchie dissolute, dagli odi tribali. Le piazze dove muoiono vittime innocenti e le Primavere arabe si tingono di sangue, funestate dai venti della discordia, delle lotte fratricide, dall’intransigenza dei fondamentalismi totalitari. Le piazze in Ucraina, dove tensioni nazionalistiche e aspirazioni all’autonomia, all’indipendenza non trovano la via della mediazione, della diplomazia, delle soluzioni pacifiche.
Per fortuna, non sono state cruente le affollate piazze italiane riempitesi in occasione della campagna elettorale per il rinnovo del parlamento europeo e di numerose amministrazioni locali. Non sangue ma una fiumana irruente di improperi, invettive, parole blasfeme gridate da alcuni esagitati leader di partito ha invaso i più noti punti di ritrovo sia Nord che a Sud della nostra Penisola. Auguriamoci che dopo la valanga di ingiurie, di insulti, di slogan demagogici e di promesse populiste, ora la classe dirigente possa avviare le riforme strutturali, indispensabili per fare uscire l’Italia dalla crisi, debellare la disoccupazione, garantire un futuro ai giovani, superare le ingiustizie sociali e le disuguaglianze, accelerare la ripresa economica e lo sviluppo di nuovi processi produttivi, abolire le incrostazioni e le lungaggini della burocrazia, abbattere la criminalità organizzata, la corruzione dilagante e le collusioni con importanti apparati dello Stato. Riavvicinare, insomma, i cittadini alle istituzioni e ridare dignità alla politica. Allora la gente tornerà a popolare le piazze non per applaudire o fischiare il comiziante di turno, ma per manifestare sentimenti di gioia, di speranza e di fiducia.