Dopo la bocciatura prima di Marini, candidato condiviso, poi di Prodi, candidato del solo centrosinistra, Bersani si dimette da Segretario del Pd
Impallinato Marini, candidato delle larghe intese, disarcionato malamente Prodi, candidato del solo centrosinistra, la leadership di Bersani ha dichiarato fallimento, per cui lo stesso Segretario del Pd è stato costretto alle dimissioni. Infatti, non ha potuto dare la colpa a nessun altro se non ai grandi elettori del Pd. Quando Prodi è stato affossato da più di cento grandi elettori, Bersani, rivolgendosi ad essi, ha esclamato: “Uno su quattro mi avete tradito”. La delusione è stata tanto più cocente in quanto gli affossatori di Prodi qualche ora prima erano gli stessi che ne avevano accompagnato la candidatura a presidente del Consiglio con una standing ovation.
Dopo l’esito della votazione i capi corrente del Pd erano gli uni contro gli altri. Renzi aveva anticipato personalmente giovedì che non avrebbe fatto votare Marini, dando il primo colpo a Bersani, ma dopo il voto contro Prodi è insorto accusando Bersani stesso e gli ex popolari che, secondo lui, avevano voluto vendicarsi dell’abbattimento di Marini. Poi, lo stesso Renzi, insieme a D’Alema, sono divenuti il bersaglio degli altri gruppi. E’ stato detto che solo Renzi avrebbe potuto trarre vantaggio dal caos che la bocciatura di Prodi avrebbe inevitabilmente provocato. Un parlamentare del Pd ha detto: “La gallina che ha fatto l’uovo canta per prima”, alludendo al fatto che Renzi era stato il primo a chiedere le dimissioni di Bersani, senza volergli parlare, visto che Bersani lo aveva giudicato “indecente” e “arrogante”. La realtà è che ognuno accusa gli altri e ognuno ha delle buone motivazioni. E’ stato detto che solo D’Alema dispone di un folto gruppo di sostenitori e che solo lui e Renzi possono aver impallinato Prodi.
Il senatore Nicola Latorre non ha fatto molto per smentire queste illazioni quando ha fatto la proposta di un personaggio come Mario Draghi per uscire dal caos che si era creato. Gli ex popolari accusano apertamente Renzi e D’Alema e a dimostrazione che non sono stati loro a negare il voto a Prodi mostrano le foto scattate alle schede con il nome di Prodi dai telefonini. Per dei custodi della legalità, come dovrebbero essere i parlamentari, fare foto alle schede votate non è un comportamento consono.
I più arrabbiati erano i prodiani e soprattutto lui, Romano Prodi, che ha chiesto a Bersani di assumersi le responsabilità della figuraccia che gli ha fatto fare coinvolgendo uno che non aveva chiesto nulla. Bersani, di lì a poco, ha presentato le dimissioni da Segretario del Pd, seguendo l’atto di Rosi Bindi.
In realtà, era la situazione che Napolitano aveva già previsto quando più volte aveva invitato i dirigenti del suo stesso partito, il Pd, ad aprire il dialogo e a procedere alla pacificazione nazionale sotto, tra l’altro, l’incalzare del peggioramento della situazione economica. Bersani, invece, aveva insistito sull’alleanza con il M5S, tra l’altro deludendo le attese di quanti nel Pd volevano aprire una fase nuova e più matura nei rapporti tra gli avversari. Napolitano gli aveva dato l’incarico esplorativo chiedendo una maggioranza certa, e quando Bersani non l’aveva trovata tra i grillini, era andato da Napolitano senza rinunciare all’incarico, anzi, chiedendo a Napolitano le sue dimissioni anticipate da presidente della Repubblica per eleggerne uno nuovo che gli avrebbe dato l’incarico con la minaccia di nuove elezioni se non avesse trovato la maggioranza in Parlamento.
Sappiamo come aveva reagito Napolitano. Il massimo che aveva potuto fare è perdere tempo nominando la Commissione dei 10 saggi per arrivare ai tempi costituzionali per eleggere il nuovo presidente, ma aveva rifiutato di dimettersi con una motivazione molto precisa: per risolvere i problemi dell’Italia ci voleva un nuovo clima, di dialogo e di intesa tra le forze politiche, non di guerra continua. Se non siete capaci di aprire una fase nuova, aveva detto Napolitano, non sarò certo io a poter vi togliere le castagne dal fuoco, anche perché le situazioni pasticciate sarebbero emerse in seguito con maggiori danni. Bersani, come detto, la fase nuova non l’aveva voluto aprire, malgrado i ripetuti appelli dei leader del Pdl a formare un governo di larghe intese. Niente, nessuna legittimazione da parte di Bersani (e di una parte consistente del Pd) ad aprire la fase nuova, ma solo la scelta di una rosa di nomi del Pd tra i quali il Pdl e il centrodestra avrebbero potuto scegliere il nuovo presidente della Repubblica, offerta che comunque il Pdl aveva accettato con la speranza di contribuire a svelenire gli animi e i rapporti, ma con i risultati della bocciatura di Marini prima e poi di Prodi candidato di parte. Un caos targato tutto Pd, un partito nato all’insegna dell’incontro tra i cattolici di sinistra e gli ex comunisti e poi rivelatosi un amalgama mal riuscito (o riuscito solo in alcune occasioni).
E’ venuto fuori chiaramente anche un altro aspetto: i leader del Pd trovano l’unità solo contro l’inossidabile Berlusconi che, stando all’opposizione, si sta rivelando più responsabile di quelli che all’opposizione ci stavano prima.
Poi, come si sa, dopo le macerie la svolta con la richiesta a Napolitano di evitare il baratro, e Napolitano, che aveva sempre rifiutato, ha finalmente accettato, pare su richiesta di una delegazione del Pd ma anche di Berlusconi, di colui cioè che sette anni fa non lo votò e che ora è diventato una specie di suo fan.