Bruxelles congela la terza rata per obiettivi non raggiunti. L’Italia cerca trattativa con l’UE per dilatare la spesa dei fondi fino al 2029
C’era una volta il Pnrr, ovvero il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che riguarda un pacchetto di investimenti e riforme che interessano in particolare i settori della pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione e competitività.
Il Pnrr rientra perfettamente nei sei pilastri del Next Generation EU riguardo alle quote d’investimento previste per i progetti green e digitali. Così l’Italia, in base agli accordi, doveva ricevere un sostegno di ben 209 miliardi di euro, perché la Penisola “può essere motore di crescita in Europa”, come ha affermato la presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen, quando ha consegnato al premier italiano Mario Draghi il “supporto totale” della Commissione europea.
Avviato durante il governo Conte, definito e portato a casa con Draghi, adesso il Pnrr rischia di essere perso durante il governo Meloni, affermandosi in questo modo come una grande occasione perduta per l’Italia.
È infatti ufficiale che i fondi del Pnrr non sono stati investiti del tutto e nei tempi richiesti, così gli accordi presi non sono stati rispettati e di conseguenza il rischio è che gran parte dei fondi possa andare perduto. In termini di percentuali, tra sistema industriale datato e burocrazia inestricabile, siamo riusciti a spendere solo il 40% dei fondi europei. La conferma arriva proprio dal Ministro per gli Affari Europei Raffaele Fitto che ha ammesso che diversi progetti previsti per il 2026 sono di fatto irrealizzabili. “Se noi oggi capiamo che alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati, ed è matematico, è scientifico che sia così, dobbiamo dirlo con chiarezza e non aspettare il 2025 per aprire il dibattito su di chi sia la colpa” ha detto Fitto intervenendo alla presentazione della relazione della Corte dei Conti sul Pnrr alla Camera.
La Corte dei Conti, nello specifico, calcola ad oggi che la maggior parte dei fondi del Piano sono stati spesi per raggiungere gli obiettivi di digitalizzazione e innovazione, per il 18,8% del totale, il 16,7% sono stati indirizzati a quelli della transizione ecologica, e il 16,4% delle infrastrutture, spinte dagli appalti delle Ferrovie. Le percentuali che però frenano l’attuazione del Piano sono quelle che riguardano gli ambiti di inclusione e coesione e di salute, rispettivamente all’1,2% e 0,5%. Altro ambito fortemente penalizzante è quello che riguarda il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti guidati da Matteo Salvini con 40 traguardi ancora non raggiunti, ai quali si aggiungono altri 37 incompiuti nei primi sei mesi del 2023.
In modo particolare Bruxelles recrimina ritardi sulle norme che riguardano concessioni aeroportuali, le reti di teleriscaldamento e due progetti all’interno dei Piani Urbani Integrati. Per questo motivo è stata bloccata dagli euroburocrati la terza rata di 19 miliardi che doveva arrivare in Italia, e che, in attesa di chiarimenti da Roma, si spera di riuscire a sbloccare entro un mese.
La situazione non è semplice e, di fronte l’eventualità di perdere gran parte dei fondi, il Governo Meloni sta negoziando con Bruxelles la possibilità di spostare alcune spese dal 2026 al 2029. “D’intesa con i sindaci e con i ministeri dell’Interno e dell’Economia il governo predisporrà delle risposte di chiarimento all’Ue sui progetti sotto esame, auspicando che si trovi una soluzione”, ha spiegato Fitto.
Redazione La Pagina