Il direttore dell’Enea di Bologna, Alessandro Martelli, prevede una forte scossa in Sicilia e in Calabria nel giro di dieci anni, il presidente dell’Ingv, Stefano Gresta, lo accusa di allarmismo
In Italia si litiga anche sui terremoti e chi lo fa non sono i terremotati, ma quelli che dovrebbero dire se i terremoti possono essere o no previsti. Per restare negli ultimi 50-60 anni, terremoti disastrosi ci sono stati in Sicilia (Belice, 1968), in Friuli (Gemona, 1976), in Campania-Basilicata (Sant’Angelo dei Lombardi, 1980), in Umbria-Marche (Foligno, 1997-98), in Molise (San Giuliano di Puglia, 2002), in Abruzzo (L’Aquila, 2009) e da ultimo in Emilia Romagna (maggio 2012). Da nord a sud il nostro è un Paese soggetto a scosse sismiche di portata più o meno forte in quanto la placca africana si scontra con quella euroasiatica in ragione di 1-2 cm all’anno, provocando terremoti. Purtroppo i terremoti non sono evitabili, si sa che fra 50 milioni di anni l’Italia non ci sarà più, schiacciata dalla forza delle due placche che si comprimono esattamente come una volta, circa 60 milioni di anni fa, si separarono roteando e formando l’Italia e le Alpi. I terremoti non sono evitabili, ma si sa che da un estremo sud all’estremo nord la dorsale appenninica è sismica. Gli scienziati sono anche d’accordo che i terremoti non si possono prevedere, se non in termini molto generici, a distanza cioè di vari anni, ma senza alcuna precisione. E’ vero, il tecnico Gianpaolo Giuliani nel mese di marzo 2009 disse che ci sarebbe stato un forte terremoto a Sulmona il 29 marzo, in realtà il terremoto ci fu ma il 6 aprile e a L’Aquila. Le sue previsioni si basavano sull’emissione di radon dal sottosuolo, ma illustri scienziati italiani e internazionali hanno sempre sostenuto e sostengono che la fuoriuscita di radon non è in relazione con i terremoti. E allora?
Il problema importante, dunque, è tenere una mappa aggiornata delle zone sismiche, impedire che esse siano disseminate di costruzioni e prevedere un piano di evacuazione da parte della protezione civile. Sembra facile, ma in realtà, ad esempio in Sicilia, l’80% dei Comuni o non ha un piano di emergenza aggiornato o non ce l’ha per nulla. Non parliamo poi della zona vesuviana in Campania. Comunque, nel resto d’Italia non è molto diverso. Il fatto è che qualsiasi piano di evacuazione si scontra con l’imprevedibilità del luogo e del tempo. Tutto ciò dovrebbe indurre a costruire o a ristrutturare secondo criteri antisismici che sulla carta esistono ma che poi vengono trascurati sulla base di altre valutazioni, quando non di abusi o di incuria. Recentemente si è sviluppata una polemica – ancora in atto – per le dichiarazioni del direttore dell’Enea di Bologna, Alessandro Martelli, che all’indomani delle prime scosse sismiche in Emilia ha detto: “Ora tocca al Sud, in particolare in Sicilia e in Calabria”. Dal canto suo, il presidente dell’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia), Stefano Gresta, dopo queste dichiarazioni è sbottato gridando all’”allarmismo”, se non al “terrorismo”. Insomma, se si riesce a individuare un pericolo, bisogna tacerlo, altrimenti potrebbe creare inutile allarmismo. La realtà è diversa: se si tace, si può essere accusati di reticenza, se si parla, si rischia doi essere accusati dio allarmismo. Non si scappa, qualunque scelta uno faccia. La maggioranza degli esperti, però, ritiene che in Sicilia e in Calabria la probabilità che nei prossimi dieci anni ci sia una scossa di 7,5 Richter è alta, tanto più che se ne parla da anni, e quello che più preoccupa è che in caso di emergenza c’è la più totale carenza di mezzi (solo 4 mila tende) mentre la zona interessata riguarda milioni di persone.
Recenti studi hanno messo in evidenza che i costi da affrontare dopo un terremoto della portata di quello dell’Emilia Romagna sono ingenti, in ogni caso, costerebbe meno la programmazione di ristrutturazioni sistematiche degli edifici (case e abitazioni) di un determinato territorio, anche se si parla di miliardi. Questa sarebbe la via giusta, più razionale e più economica, tenendo conto anche dei morti e dei disagi, ma l’impresa è immane e scoraggia chi è animato da buona volontà. Ognuno spera che se dovrà accadere, che accada altrove e il più lontano possibile nel tempo