La lista delle circa quattrocento persone ritrovate nel computer del costruttore Diego Anemone da parte dei magistrati e pubblicata sui giornali malgrado fosse coperta da segreto induce ad alcune riflessioni.
Certamente molti dei nomi finiti sui giornali sono estranei a qualsiasi reato, come è probabilmente il caso di coloro che abitavano in affitto in locali fatti ristrutturare dai proprietari e che dunque con il costruttore non avevano nulla a che fare. Però, nell’elenco ci sono anche nomi di coloro che avevano ricevuto o condizioni di favore o addirittura contributi in danaro per l’acquisto di una o più case per sé o per parenti, come pare accertato per politici, funzionari dei servizi segreti e alti funzionari della pubblica amministrazione. La domanda d’obbligo è: perché un costruttore fa regali di tale consistenza in danaro a persone che ricoprono funzioni e incarichi pubblici? La risposta, semplice ed ovvia, è una sola: evidentemente perché prima o poi ci sarebbe stato un ritorno. Non si regalano novecentomila euro per simpatia o senza contropartita.
È chiaro, allora, che questi scambi non solo non si riducono ad una lista di pochi nomi, ma sono l’andazzo abituale – non da adesso, ma da sempre – in tutti gli enti locali e nazionali dove ci sono politici che decidono lavori pubblici e costruttori che sono interessati agli appalti e che pur di averli o aumentano i prezzi con vari stratagemmi per poter ricambiare, sotto varie forme e per vie spesso tortuose, gli amministratori locali e nazionali o usano materiali scadenti per risparmiare con gli stessi scopi citati o eseguono lavori mal fatti. Di solito si tratta di tutte queste cose messe insieme, per cui i lavori costano troppo, sono fatti male e si crea una rete di connivenze e complicità che fa pagare allo Stato, cioè a tutti i cittadini, il prezzo di queste operazioni da codice penale.
Siccome questo andazzo avviene con amministratori di ogni colore politico – la differenza è solo tra chi si lascia prendere e chi riesce a farla franca o per omesso controllo o per benevolenza della magistratura – è altrettanto chiaro che siamo in presenza di un sistema che non può che portare a queste situazioni.
C’è un’altra domanda che dobbiamo porci: è così anche in Svizzera? La risposta è no, perché la politica e l’amministrazione sono due ambiti separati. In Svizzera i lavori pubblici vengono decisi dall’amministrazione, che è la stessa anche se cambia il colore politico di un Comune o di un Cantone. L’amministrazione, d’altra parte, fa i lavori in base a dei criteri precisi e rigidi. Certo, si possono verificare anche scambi personali, ma è raro e comunque certi standard di prezzi e di qualità devono essere rispettati. In Italia, come abbiamo visto, avviene il contrario.
Fino a quando la politica decide ed amministra c’è poco da sperare in un cambiamento. Certo, col federalismo fiscale si parla di “costi stardard” su tutto il territorio nazionale (non è possibile che lo stesso lavoro, ad esempio, al Nord costi due e al Sud 5); si parla di una spesa rapportata alla quota di entrata e di conseguenza e in via teorica, al controllo da parte dei cittadini sull’operato degli amministratori; si parla di accelerare l’iter della legge anticorruzione. Intendiamoci: tutte queste cose sono positive, ma dubitiamo che bastino a cambiare radicalmente e subito un andazzo che dipende da molti fattori: dai politici che devono dare l’esempio nel rispetto delle regole e invece non lo danno affatto, alla magistratura che deve essere davvero imparziale e non politicizzata e a chi è colpevole deve dare pene certe e ciò, invece, non avviene. Il vero cambiamento avverrebbe se ognuno facesse rigorosamente e responsabilmente la sua parte, con al centro il senso dello Stato e del dovere.