I candidati a premier del centrosinistra sono Matteo Renzi, Pierluigi Bersani e, per ora, anche Bruno Tabacci. Seguirà, forse, anche Nichi Vendola
Berlusconi tace e riflette e, mentre riflette, a parlare sono gli altri. In fondo, Napolitano ha ragione da vendere quando teme che i partiti non hanno capito la lezione e al posto di continuare l’opera di Monti, la smonteranno pezzo per pezzo e in più torneranno a parlare di riforme senza farle, secondo una prassi ben collaudata. L’Italia tornerà ad essere l’Italietta che è quasi sempre stata. Basta guardarsi intorno. Berlusconi, acclamato dal popolo della libertà, presumibilmente per rimediare una onorevole sconfitta e salvare la poltrona a una buona parte degli attuali parlamentari, dice che c’è un tempo per parlare e uno per riflettere e che adesso è tempo di riflettere. Molti commentatori pensano che sia una tattica: visto che la sinistra litiga su tutto, che litighi e poi lui scioglierà la riserva dopo che lo avranno rimpianto. Insomma, Berlusconi tacerebbe per farsi desiderare. In questa direzione andrebbe il messaggio dell’abolizione dell’Imu e del rigore europeo che frena la crescita. E’ una interpretazione come un’altra. Secondo noi, a 75 anni suonati, ha voglia davvero di starsene in pace, anche se, non vedendo giganti nel suo campo, è tentato di ridiscendere nell’agone politico per salvare un partito che comunque è dato in crescita e che si attesterebbe sul 22% e che senza di lui sarebbe prateria e preda di Casini, di Fini e probabilmente anche di Grillo. All’idea, però, di tornare ad essere il bersaglio delle procure e l’oggetto dell’odio degli avversari, l’entusiasmo scema di brutto, per cui ha trovato l’alibi della “riflessione”.
Dall’altra parte non riflettono, parlano con il linguaggio dei fratelli-coltelli. E’ bastato che il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, presentasse la sua candidatura alle primarie per la candidatura a premier del centrosinistra per far nascere un fuoco di fila per denigrarlo. Ha cominciato D’Alema con un giudizio a dir poco inappropriato: “Renzi è incapace di governare”. Chissà cosa direbbe D’Alema, se a vincere fosse proprio Renzi! Dietro D’Alema, comunque, si sono accodati rappresentanti di tutti i raggruppamenti, che hanno fatto a gara per cucirgli addosso il vestito berlusconiano per poi dileggiarlo. Lui non ha rinnegato la fama di “rottamatore” e non guarda in faccia a nessuno, giocando abilmente con le frasi ad effetto e con la battuta pronta. Ad esempio, ha chiesto i voti del Pdl per portarli al Pd e ha detto, per bloccare gli attacchi, che se perderà, si metterà a disposizione di Bersani. Il contrasto all’interno del Pd non è solo di tipo elettorale, è anche politico e programmatico, perché i tre piedi del tavolo del centrosinistra – Bersani, Vendola, Casini – cominciano a traballare, per quanto molte delle polemiche siano dettate da motivi di opportunità.
Ha cominciato Vendola accusando Casini di bigottismo, dicendo che lui i diritti civili – il matrimonio tra gay in primo luogo, li vuole a parte intera e non dimezzati (registro delle unioni di fatto). Vendola, vistosi scoperto a sinistra, perché lì c’è Di Pietro che insidia il suo elettorato, ha aderito alla raccolta delle firme per abolire con referendum le modifiche del governo all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Ciò ha costretto Casini a prendere le distanze – anche se solo a parole – da un’alleanza con Vendola, sia perché è contrario al matrimonio gay, sia perché non può condividere le idee “obsolete e ottocentesche” di Sel in materia di legislazione del lavoro. Sembrerebbe una guerra a distanza tra i due piedi esterni del centrosinistra e invece c’è materia di conflitto anche tra Casini e Bersani, perché quest’ultimo non vuole una legge elettorale di tipo proporzionale, mentre Casini non solo vuole il proporzionale ma non cede nemmeno sulle preferenze. A Bersani uno sconsolato Casini ha detto: “Non potete chiederci di darvi tutto il nostro sangue”. Insomma l’alleanza comporta un prezzo da pagare e per ora né Bersani, né Casini, sono disposti a pagarlo.
Massimo Cacciari, parlando di Renzi, ha detto che si sta facendo un sacco di risate, perché il personaggio non è serio in quanto fa il sindaco da due anni e tutto fa fuorché il sindaco. La stessa cosa si può dire di Bruno Tabacci, dal 2009 passato dall’Udc all’Api di Rutelli, il quale una volta stava nel Pd e poi ne è uscito per fondare, appunto, Api, Alleanza per l’Italia, che, prima delle elezioni amministrative, insieme a Udc e Fli, formavano il cosiddetto terzo polo. Fallito il terzo polo, ognuno per sé e Casini per tutti. L’Udc, dunque, ha fatto l’alleanza con Bersani e si è trascinata dietro anche l’Api di Rutelli, il cui rappresentante di maggiore spicco e caratura, Bruno Tabacci, appunto, da assessore al Bilancio al Comune di Milano, vuole candidarsi alle primarie del Pd per – ha detto – rappresentare la famiglia cattolica nel centrosinistra.
Insomma, Cacciari ha ben di che ridere, anche perché sia Renzi, sia Tabacci hanno lo stesso riferimento nella parte cattolica. Da notare che le polemiche non mancano in casa Udc, che per mesi ha fatto la corte a Montezemolo e poi alla fine si sente rifiutato dal presidente della Ferrari che ha detto che non si fa un partito nuovo con le facce vecchie. Berlusconi, abbiamo detto, tace e riflette. Meglio così, perché se nel Pdl parlassero, non farebbero altro che fare concorrenza al Pd e dare ragione a chi diceva: meglio tacere e dare l’impressione di essere incapaci che parlare e togliere ogni dubbio.