Secondo una recente ricerca, la primavera artica arriva 16 giorni prima rispetto a 10 anni fa
La Pausini lo va cantando dal lontano 2008 e, canta che ti ricanta, i conti iniziano veramente a tornare: negli ultimi dieci anni infatti la primavera è arrivata sempre più in anticipo, in particolare 4 giorni prima per ogni 10 gradi di spostamento dall’equatore verso nord. In effetti, l’anticipo della primavera a livello globale è un fenomeno segnalato già da tempo, ma una nuova ricerca indica che la velocità del fenomeno è molto più grande di quella stimata finora, soprattutto al Polo Nord. Nell’Artico, ad esempio, la stagione arriva addirittura ben 16 giorni prima, con una tasso d’anticipo di tre volte maggiore di quanto indicato dai precedenti studi in materia.
A scoprirlo i ricercatori dell’Università della California a Davis che, guidati da Eric Post, hanno realizzato un nuovo studio sull’avanzamento della primavera, pubblicato sulla rivista Scientific Reports.
Gli studiosi hanno analizzato i dati a disposizione sull’avanzamento della primavera man mano che ci si muove verso nord: dalle migrazioni degli uccelli alle fioriture, dal comportamento degli anfibi all’arrivo delle nuove foglie.
Tutti dati contenuti in più di 700 lavori relativi all’emisfero settentrionale realizzati negli anni precedenti e riguardanti un arco temporale di poco meno di novant’anni (dal 1828 al 2013), giungendo alla conclusione che la relazione tra anticipo delle primavere e latitudini più elevate è ormai innegabile, anche tenendo in considerazione le differenze tra i vari lavori riguardo alla durata, al periodo preso in considerazione e alla zona geografica. Per esempio, alle latitudini basse e medie come Los Angeles, che si trova a 34° di latitudine Nord, la primavera potrebbe arrivare con un solo giorno di anticipo rispetto a dieci anni fa. Ma più a nord, come a Seattle (47° N), potrebbe arrivare quattro giorni prima e nell’Artico addirittura fino a 16 giorni prima. La connessione tra anticipo della primavera e latitudini più elevate potrebbe avere conseguenze anche su animali e piante per cui la primavera è un punto di riferimento, come hanno sottolineato gli autori dello studio. L’impatto sui migratori, secondo i ricercatori, potrebbe essere quello più preoccupante: molti uccelli si spostano dalle zone tropicali alle latitudini più elevate, come l’Artico, per riprodursi.
Se questo sfasamento dell’inizio della primavere dovesse aumentare di pari passo con il riscaldamento globale, i migratori che partono all’inizio della primavera alle basse latitudini potrebbero arrivare nelle regioni più settentrionali, dove la primavera sarebbe già inoltrata, in un momento non ottimale rispetto allo sviluppo delle piante e degli insetti di cui si nutrono, con un rischio elevato per la sopravvivenza della loro prole.
E’ quanto capita ad esempio al Caribu, che migra verso le regioni artiche quando le ore di luce, seguendo il calendario e l’inizio ufficiale della primavera, aumentano oltre una determinata soglia. A causa del risveglio anticipato del mondo vegetale però adesso rischiano di arrivare a destinazione quando oramai le piante hanno fatto già da tempo i fiori e perso molte delle proprie proprietà nutritive: tutto ciò ha fatto diminuire la natalità della specie e aumentato la mortalità dei cuccioli. Passando poi alla flora, sembra che in Groenlandia una particolare specie di carex, pianta che trova il suo habitat ideale nelle torbiere, l’anno passato sia germogliata con un anticipo di ben 26 giorni rispetto a quanto facesse 10 anni fa. Insomma, il surriscaldamento del Pianeta sta portando la primavera a mangiarsi la coda dell’inverno, con importanti conseguenze sugli habitat naturali: conseguenze che potrebbero mettere a rischio molte specie vegetali e animali..