Il piano di Kofi Annan in sei punti comincia a dare i suoi frutti ma in attesa degli osservatori Onu sono stati segnalati bombardamenti a Homs
I ministri degli Esteri del G8, riguardo alla Siria, si sono trovati di fronte ad una situazione nuova: la tregua ha funzionato. Era stata rinviata più volte dagli inizi del mese di aprile, quando Kofi Annan, inviato speciale di Ban Ki-moon, Segretario generale dell’Onu, suo successore, era andato in Siria a proporre il suo piano in sei punti. Lo ricordiamo per opportunità ai nostri lettori: la fine delle violenze, il ritiro delle armi pesanti dalle città, la garanzia degli aiuti umanitari, la liberazione dei prigionieri politici, la libertà di accesso per i giornalisti, il diritto di manifestare. Come si vede, non c’è nel piano nessun riferimento alle dimissioni di Assad, ed è per questo che, seppure con difficoltà iniziali (e non solo), ha fatto qualche passo in avanti. Intendiamoci, finora è stato soddisfatto solo in buona parte il primo punto, cioè la fine delle violenze. A parte alcuni morti – chi dice tre, due ufficiali e un civile, chi dice venti, sparsi in tutto il Paese – per la prima volta dal mese di marzo non ci sono stati scontri, né cannoneggiamenti e né massacri. Ciò ha fatto dire a Kofi Annan che si è aperto “un barlume di speranza”. “La Siria”, ha proseguito, “sta apparentemente vivendo un raro momento di calma, e questo porta sollievo e speranza a un popolo che ha sofferto tanto a lungo”. L’impressione è che si sia aperta anche una duplice aspettativa. C’è quella di una parte del Consiglio di sicurezza (Russia e Cina escluse) che vuole arrivare ad una pacificazione ma nello stesso tempo, in corso d’opera o a fine opera, la transizione con un governo di unità nazionale che suppone il passo indietro di Assad; e c’è quella di Assad, che vuole la stabilità e la pacificazione con la concessione di qualche punto programmatico ma con una certezza, che lui resti il presidente della Siria. Insomma, Assad vuole tornare allo status quo ante con qualche cambiamento ma con lui sempre alla guida del Paese. Questa è la lama del rasoio lungo la quale scorrono i tentativi dell’una e dell’altra parte.
Kofi Annan ha suggerito ai membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu di adoperarsi affinché si passi al punto due del piano, quello del ritiro delle armi pesanti dalle città. Anche qui si aprono due tesi: Assad assicura che la presenza delle armi pesanti significa una garanzia che gl’insorti stiano buoni; le opposizioni lo considerano un passo per potere manifestare liberamente, anche se non mancano le incognite, cioè che una parte degli insorti voglia in realtà che gli scontri continuino fino alla cacciata di Assad. Le posizioni di Francia e Usa sono coincidenti; tutti e due questi Paesi vogliono che la tregua sia propedeutica all’invio degli osservatori dell’Onu in Siria. Questa ipotesi trova concorde anche la Russia, che per la prima volta accetta di non fare apertamente gl’interessi di Assad. C’è però anche la tesi della Turchia, la quale dice che se Assad dovesse ancora bombardare o attaccare profughi verso la Turchia stessa, questo dovrebbe essere considerato come un attacco al Paese limitrofo o accogliente, in modo tale da far intervenire la Nato facendo appello all’articolo 5 della Nato che prevede un aiuto reciproco in difesa di uno Stato membro attaccato. In pratica la guerra alla Siria. La Turchia è passata da una condizione di buoni rapporti tra confinanti ad una di decisa richiesta di una nuova leadership, con le buone o con la forza. Alla prima proposta se ne aggiunge un’altra, quella di creare una zona cuscinetto per dare sistemazione e sicurezza ai profughi che lasciano la Siria. Forse, col tempo, si riuscirà a passare al ritiro dei mezzi pesanti dalle città, ma per ora bisogna accontentarsi dell’apertura di Russia e Cina all’invio degli osservatori Onu. Russia e Cina che definiscono la tregua raggiunta come “una tappa importante verso la soluzione della crisi”.