Tre giorni prima, a Roma, in occasione della Conferenza della Fao, il premier brasiliano Lula aveva assicurato al governo italiano che avrebbe rispettato la decisione della Corte Suprema che stava esaminando il caso Battisti.
Cesare Battisti, militante dei Pac (Proletari armati per il comunismo) fu arrestato nel 1979 con l’accusa di aver ucciso quattro persone e di essere autore di rapine a mano armata. I Pac erano anche militanti politici, ma erano soprattutto delinquenti comuni, dediti alle rapine e agli omicidi. Condannato a due ergastoli, Battisti evade due anni dopo l’arresto e si rifugia prima in Francia e poi in Messico, da dove successivamente riparte per approdare di nuovo in Francia, dove nel frattempo era stata elaborata la “dottrina Mitterrand”, in base alla quale la Francia non avrebbe mai concesso l’estradizione ai rifugiati condannati per reati di tipo politico, tanto più se la sentenza fosse stata emessa in contumacia (senza la presenza dell’imputato).
In realtà, Cesare Battisti entra a far parte della folta schiera dei rifugiati dei movimenti rivoluzionari italiani, riparati a Parigi dopo essere stati condannati e evasi oppure – e fu il caso di Toni Negri e di Oreste Scalzone – dopo essere stati eletti in Parlamento tra le file dei Radicali di Pannella e Bonino. Nel 1993 la Cassazione conferma i due ergastoli, ma è evidente che la contumacia fu opera di Battisti, scappato per non scontare la pena. Protetto dalla dottrina Mitterrand, Battisti a Parigi diventa scrittore di gialli ed entra a far parte della potente sinistra intellettuale che lo protegge. I governi italiani di ogni colore politico ne hanno sempre richiesto l’estradizione, ma invano.
Quando poi la dottrina Mitterrand, scomparso il suo propugnatore, comincia ad essere datata, per Battisti le cose si mettono male.
Il 30 giugno del 2004 il presidente della prima “Chambre de l’Instruction” della Corte d’Appello di Parigi concede l’estradizione. Segue l’appello, ma prima della sentenza Battisti fugge prima in Corsica e poi in Brasile, dove viene arrestato un anno fa. In Brasile, intanto, il ministro della Giustizia, Tarso Genro, anche lui dal passato rivoluzionario, gli concede l’asilo politico, ma l’istruttoria della Corte Suprema va avanti, fino a quando il verdetto, 5 contro 4, sentenzia il rientro in Italia dell’ex militante dei Pac. Fino a qualche mese fa la Corte Suprema brasiliana era orientata a non concedere l’estradizione, perché Cesare Battisti era sì ricercato dall’Interpol, ma aveva anche ottenuto lo status di rifugiato politico. Ma il nuovo presidente della Corte Suprema, Gilmar Mendes, nella sua requisitoria, ha inquadrato i delitti di cui Battisti fu accusato non nell’ambito dei reati politici, ma di quelli comuni.
Ora l’atto materiale dell’estradizione dovrà essere firmato dal presidente Lula. È evidente che Lula può opporsi, ne ha facoltà, ma se così fosse, avallerebbe sì un atto del suo ministro della Giustizia e suo amico personale, però dovrebbe rimangiarsi una sua dichiarazione ufficiale e contemporaneamente mettere in crisi le relazioni con l’Italia, specie se in altri casi dovesse adottare un atteggiamento diverso.
Inutile dire che quando la notizia è giunta in Parlamento, essa è stata accolta con un applauso di soddisfazione.
Intanto, la Francia ha fatto sapere che non intende occuparsi più del caso. Come si ricorderà, se non a favorire certo a proteggere la fuga di Battisti fu proprio la complicità di Carla Bruni, neo first Lady, anche se in occasione del G8 de L’Aquila, quest’anno, ha smentito un suo interessamento. D’altra parte, anche se volesse, la Francia non ha più nulla a che vedere con il destino di Cesare Battisti, che tra l’altro in questi anni ha avuto un atteggiamento di irrisione nei confronti delle vittime e dei familiari.
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