Dalla morte della giovane 22enne Mahsa Amini per mano della polizia morale in Iran le proteste si starebbero diffondendo a macchia d’olio su tutta la Repubblica Islamica e ricevono solidarietà da tutto il mondo attraverso azioni di protesta e dimostrazioni sui social
La morte di Mahsa
Pare che la giovane Mahsa Amini residente a Saqqez, nella provincia del Kurdistan (Iran occidentale) portasse l’hijab troppo allentato, cosa che avrebbe infastidito la nota polizia morale (“Guidance Patrol“) di Tehran dove la ragazza si trovava in vacanza con la famiglia. Per questa mancata osservanza della legge sull’obbligo del velo, che è in vigore dal 1983 sia per le residenti che per le donne straniere, Mahsa è stata arresta e portata ad un centro di detenzione per essere sottoposta ad un “breve corso sull’hijab”. Era il 13 settembre scorso e Masha sarebbe dovuta essere rilasciata entro un’ora, invece quella è stata l’ultima volta che i familiari l’hanno rivista viva. La ragazza muore in circostanze sospette il 16 settembre, dopo 3 giorni di coma in ospedale dove è stata portata ufficialmente per un infarto. Dalle ferite, dai lividi sulla testa e sulle gambe, dal sanguinamento dalle orecchie, dai lividi sotto gli occhi, dalle fratture ossee, dall’emorragia ed dall’edema cerebrale era chiaro che Mahsa aveva subito un duro pestaggio.
Indignazione pubblica
Il caso di Mahsa non può passare inosservato e diventa presto il simbolo della violenza contro il genere femminile sotto la Repubblica islamica dell’Iran dove iniziano le proteste da parte di donne che scendono nelle piazze e manifestano con atti dimostrativi e simbolici come togliersi il velo, tagliarsi i capelli e addirittura bruciare l’hijab.
La protesta si allarga
Le proteste si susseguono e di diffondono a macchia d’olio in tutto il Paese e alla protesta femminile si uniscono tutti quelli che mostrano malcontento per il sistema economico ed occupazionale e per le repressioni vigenti sui diritti civili. “Queste non sono solo proteste. Questo è l’inizio di una rivoluzione!” è uno degli slogan antigovernativi urlati dal popolo durante la protesta che si sta delineando sempre più come un fenomeno sociale e generazionale inedito, che interessa tutta la Repubblica Islamica. Secondo l’agenzia Irna i manifestanti hanno protestato in 15 città del Paese, bloccando il traffico, incendiando cassonetti e veicoli della polizia, lanciando pietre contro le forze di sicurezza che hanno usato gas lacrimogeni e hanno effettuato arresti per disperdere la folla. Stando al gruppo di opposizione People’s Mojahedin Organization of Iran (Pmoi), al 5 ottobre 400 civili sono morti in nome della loro libertà e 20mila persone sono state arrestate.
Nika come Mahsa
Una delle vittime che diventa un altro simbolo della protesta in Iran è Nika Shakarami, una ragazza di soli 17 anni che aveva preso parte alla manifestazione a Teheran. Nika era scomparsa dopo la protesta e il suo cadavere è stato ritrovato dopo dieci giorni con il naso rotto e la testa fracassata. In una nota vocale inviata ad un’amica, aveva raccontato di essere inseguita dalle forze di sicurezza. Di Nika restano i video online di una ragazza sorridente che a capo scoperto canta una canzone tratta dal film Soltan Ghalbha (Re di Cuori) del 1968 molto famosa tra gli iraniani e che dice: “Una parte del mio cuore mi dice di andare, andare. L’altra parte mi dice di restare, restare”. Le proteste non sembrano placarsi, quello che spinge il popolo in rivolta è ben spiegato sul portale indipendente Iran International Newsroom: “Questa è una generazione che non è stata influenzata dalla propaganda di stato e dallo stile di vita forzato. Al contrario, grazie a Internet e alla televisione satellitare, sanno come vivono altri giovani in altre parti del mondo e trovano umiliante la vita sotto le restrizioni imposte dal regime clericale”.
Solidarietà dal mondo: “Zhen, Zhian, Azadi”
Diverse manifestazioni e cortei di solidarietà con il movimento iraniano hanno preso vita in più di 150 città del mondo, da Tokyo a San Francisco, a Londra e perfino in Cile. In tutte le città le manifestazioni si muovono al ritmo dello slogan “Donna, vita, libertà” (Zhen, Zhian, Azadi). La protesta arriva anche al Parlamento Europeo, con l’eurodeputata svedese Abir Al Sahlani che si è tagliata i capelli durante il suo intervento. Il suo gesto è stato ripetuto da moltissime donne, anche famose, in tutto il mondo e i video diffusi on line. A Milano è stato realizzato il murales che ritraeva Marge Simpson con la chioma tagliata davanti al Consolato iraniano. La protagonista femminile del famosissimo cartone che dal 2012 è stato censurato in Iran dal regime corrode “la morale della gioventù iraniana“, era stata ritratta con la sua iconica capigliatura mozzata. L’opera dal titolo ‘The Cut’ eseguita dall’artista di strada AleXsandro Palombo è stata subito oscurata.
Redazione La Pagina