La miccia è stata la soppressione di 600 alberi in piazza Taksim per far posto ad un grande centro commerciale, ma in realtà i laici temono una deriva islamista
Anche in Turchia le piazze si riempiono, ma non si tratta di una vera e propria “primavera araba” o, almeno, non ancora. E’ strano che le piazze si riempiano in Turchia, è strano perché la Turchia di Erdogan è quella che ha fatto di tutto per intervenire militarmente in Siria e cacciare Assad. Ora, invece, si ritrova con la folla che protesta.
In realtà, Erdogan vuole intervenire in Siria perché la famiglia di Assad e l’ossatura del regime la fa da padrona in quel Paese. La Turchia non vuole intervenire per motivi religiosi, ma per motivi di strapotere di una famiglia. In Turchia, invece, la gente è scesa in piazza, prima a Istanbul, poi anche altrove, apparentemente per la soppressione di un polmone verde nella capitale, per l’abbattimento di 600 alberi per far posto ad un gigantesco centro commerciale “simili agli antichi casermoni ottomani”. La motivazione della protesta era di tipo ambientalista, al punto che ci sono stati scontri con la polizia, scontri che hanno portato a 939 arresti e a 79 feriti. La polizia non ci è andata leggera, al punto che il presidente della Repubblica è intervenuto presso Erdogan e questi poi presso la polizia per chiederne il ritiro e lasciare campo libero alla protesta.
Erdogan, prima, aveva rilasciato una dichiarazione, in cui si appellava alla democrazia. “Le elezioni”, aveva detto, “si svolgono ogni quattro anni, chi ha dei problemi con il governo usi i metodi della democrazia e della legge”. Piazza Taksim è stata invasa dai giovani e, come detto, la protesta si è allargata in tutto il Paese. In realtà, la protesta non è dovuta all’eliminazione di 600 alberi per far posto ad un centro commerciale. E’ vero che Istanbul è una metropoli con pochissimo verde, ma di questi tempi i posti di lavoro assicurati dalla costruzione del centro commerciale non sono una contropartita risibile. In effetti, i veri motivi della protesta sono una legge approvata in data 24 maggio scorso che non solo vieta di sorseggiare raki e birra intorno a moschee e a luoghi sacri ma impedisce di acquistare una bottiglia di alcol tra le dieci di sera e le sei della mattina. I manifestanti paventano una strisciante deriva verso un clima islamico. Insomma, i laici non sono disposti a cedere le conquiste ottenute (non obbligatorietà del velo nelle scuole e nei luoghi pubblici) in vista di una tendenza a rivalutare i simboli religiosi e ad imporli di nuovo. Non solo. Ad Erdogan viene rimproverato la cancellazione del tradizionale secolarismo o almeno il tentativo di farlo, di aver messo da parte i militari del vecchio regime, di aver chiuso la bocca a giornalisti e ad intellettuali per esercitare il potere basandosi su una lobby di potere.
Le manifestazioni potrebbero esaurire la loro carica protestataria, ma il timore del governo è che si possano saldare con il malcontento nei confronti della politica nei confronti dei curdi del Pkk. Come è noto, Erdogan e i curdi del Pkk hanno siglato un accordo sul cessate il fuoco perché il governo turco possa fare enormi investimenti nel Kurdistan iracheno per poter sfruttare i pozzi petroliferi di Kirkuk. Questo significa approvvigionamento energetico per la Turchia e nello stesso tempo sviluppo della regione abitata dai curdi. E’ proprio questo che militari del vecchio regime e popolazioni dell’Anatolia (regione di frontiera) temono e rimproverano ad Erdogan, cioè che vengano favoriti i curdi temendone l’esplosione demografica ai danni della sicurezza delle popolazioni in Anatolia che, invece, i curdi non li possono soffrire.
Erdogan è un musulmano ma non fanatico che ha comunque una concezione ferma della democrazia. Non crediamo che ci sia pericolo di una islamizzazione del Paese, anche perché le elezioni ci sono a scadenza quadriennale. La Turchia non è la Siria, non è l’Egitto di una volta o la Libia, però il rischio che le proteste siano cavalcate dagli estremisti, come è avvenuto in Libia, in Tunisia e in Egitto e sta avvenendo in Siria è reale e se questo dovesse succedere non sarebbe certamente una bella prospettiva. Lunedì scorso c’è stato un morto tra i manifestanti, è un segno pericoloso.