Epifani resterà fino al Congresso, ma sosterrà con convinzione il governo. In autunno sarà il turno di Chiamparino, mentre Renzi, che non ha nessuna intenzione di fare il segretario del partito, si preparerà per fare il premier dopo Letta
Tutto può cambiare, ma Epifani sarà segretario del Pd fino al congresso che si terrà in autunno. Lo ha detto lui stesso (“ha accettato per spirito di servizio”) prima e dopo la nomina. Intanto – anche perché ci crede – sostiene il governo Letta con convinzione, sia contro gli eccessi di protagonismo di Berlusconi che s’intesta la vittoria sull’Imu, sia contro gli eccessi di rancore di suoi compagni, come il capogruppo alla Camera, Luigi Zanda, che, dopo vent’anni di presenza in Parlamento e al governo, sostiene pubblicamente l’ineleggibilità di Berlusconi, suo alleato di governo. Guglielmo Epifani dovrà dimostrare tutta la sua capacità di dialogo per mettere il governo Letta fuori dai pericoli che provengono da possibili imboscate perché c’è una larga fetta del Pd che non accetta le “larghe intese”, imposte non solo dalla crisi economica, ma soprattutto di numeri che non ci sono.
Al prossimo Congresso spunta il nome di Chiamparino, l’ex sindaco di Torino noto per le sue posizioni moderate ma ferme. Sono in molti a puntare su di lui per rilanciare quel Pd che in meno di tre mesi è passato dalla vittoria declamata e conclamata prima delle elezioni ad una sconfitta anomala ma cocente dopo, quando pur avendo ottenuto qualche decimale in più, si è ritrovato alla Camera con una sovrabbondanza di deputati (340) mentre al Senato in netta minoranza e tra l’altro con il M5S contrario alla fiducia e Scelta civica ininfluente. La cattiva gestione di Bersani di quella fase (sì al M5S che non voleva e no al Pdl con cui, dimessosi Bersani, Letta è dovuto scendere a patti) ha provocato un movimento centrifugo dei vari “potentati” del Pd e soprattutto degli iscritti, al punto che secondo gli ultimi sondaggi, la percentuale attuale si aggirerebbe sul 22%, meno di M5S e del Pdl.
Se, come sembra, sarà Chiamparino il futuro timoniere del Pd con il compito di rivitaminizzarlo e di riformarlo combattendo la piaga dei gruppi interni divisi su tutto perché predomina la lotta per il potere (un po’ come era il Psi prima di Craxi), quale ruolo avrà Renzi, l’uomo che ormai tutti indicano come il vero leader del futuro? Ebbene, anche se in politica le cose dette non sono quasi mai quelle pensate, Renzi non lascia molto spazio ai dubbi. A lui non interessa la leadership del Pd, incarico per il quale avrebbe tutta la vecchia guardia contro, malgrado le assicurazioni di segno opposto; a Renzi interessa la leadership del governo. Dunque, si batterà affinché i due ruoli – partito e governo – siano separati. Chiamparino (o chi per lui) dovrà occuparsi di tirare su il partito e lui sarà candidato premier. La sua lealtà dichiarata non gli farà fare l’errore di Veltroni nei confronti di Prodi. Renzi aspetterà e si porrà come l’innovatore “a vocazione maggioritaria”. Il che significa che aspirerà alla maggioranza degli italiani per governare il Paese e contemporaneamente per isolare nel Pd l’ala più a sinistra. Ecco le sue parole e il suo giudizio su tutta questa materia: “Io non farò nulla per sabotare il governo, nessuno sgambetto e niente polemiche. Io ho detto chiaramente che non farò il segretario del Pd. Enrico è uno dei miei più cari amici. Immaginare una rivalità tra me e lui è pura follia, il nostro rapporto personale è più che ottimo”. Gl’incontri di Epifani con i maggiori esponenti del Pd stanno facendo emergere questa prospettiva. Ovviamente, ce ne sono altre, per le quali altri leader lavorano, ma quella del duo Chiamparino-Renzi ha tutta l’aria di essere la coppia vincente.
Chi, invece, ha problemi seri è Scelta Civica, il movimento di Monti. Alcune settimane fa, Monti ha dichiarato che lui non era tagliato per fare il leader di partito, il che, insieme alla constatazione che “siamo numericamente ininfluenti”, ha creato forti malumori, provocati oltre tutto dalla sconfitta elettorale. Italia Futura di Montezemolo e l’Udc di Casini sono le due formazioni più diffidenti. I gruppi parlamentari, malgrado i contrasti, sono costretti a restare uniti, perché se ognuno va per sé, il movimento si scioglie, anche se di fatto l’Udc è orientata a ritornare quello che era prima. Insomma, i contrasti interni hanno costretto Mario Monti a farsi eleggere presidente di Scelta civica, con lo scopo di dare una “governance” a quello che diventerà un partito unico, divisioni e contrasti permettendo. Da quello che si riesce a capire, Monti e il suo gruppo (l’ex ministro Riccardi ed altri) vorrebbero fare un nuovo partito che possa raccogliere i riformisti del Pd e del Pdl, mentre la gran parte dell’Udc si trova spiazzata per la semplice ragione che vorrebbe fare la stessa cosa, solo che si rende conto che non sarà Casini a gestirla. Insomma, se l’Udc resterà nel futuro partito di Monti, Casini e i suoi non avranno molti spazi, essendo dei “rottamati”; se tornerà a rilanciare l’Udc, lo spazio sarà occupato dal partito di Monti, ammesso che questi riuscirà a presidiarlo.
La realtà è che il terzo polo ha fallito e difficilmente avrà una ragione di essere. Il centrosinistra, benché adesso sia in difficoltà, sta elaborando un percorso di rilancio e in ogni caso non sarà attirato dalla sirena Monti-Casini. Il centrodestra è saldamente in mano a Berlusconi e nessuno si sognerà di varcare il guado.
C’è, infine, un altro motivo per cui il terzo polo è definitivamente tramontato: non c’è nessun leader in vista. Casini si è rivelato un mezzo leader, Monti “non è tagliato” per fare il leader: né del governo, visti i risultati, né di un partito. Semplicemente, non ha nessun carisma e, pensiamo, nessun futuro.