Il Pentagono, secondo fonti attendibili, in Siria starebbe studiando opzioni militari alternative a quelle dell’onu fallite ad opera di russia e Cina
In merito alla crisi in Siria, gli Usa hanno accolto il veto di Russia e Cina con rabbia e molta frustrazione. Non è un caso che dal Pentagono siano state fatte trapelare voci di possibili opzioni militari. Si tratta in realtà di piani militari che non si sa se potranno essere realizzati, ma che vengono presi in considerazione nel caso in cui la Casa Bianca dovesse decidere di usare la forza in modo unilaterale, magari insieme ad un gruppo di alleati fedeli e ben disposti. Il fatto che sia stata fatta trapelare la notizia delle possibili opzioni militari può avere un altro significato: quello di ”pilotare” un possibile cambio di rotta, dato per imminente qualora la guerra civile dovesse assumere dimensioni più incontrollabili e portata più tragica. D’altra parte, i media americani stanno già creando un clima di intervento militare, mettendo l’accento su scene orribili di massacri e vendette e su un crescendo di emergenza tra la popolazione. Va da sé che sui media largo spazio viene dato alla repressione e alla sua forza distruttiva, creando ancora una volta un’atmosfera di ineluttabilità del ricorso alle armi in difesa della popolazione inerme. Questo per quanto riguarda il Pentagono e i media. La Casa Bianca, a sua volta, non nasconde il fastidio per la difesa di Assad da parte di Russia e Cina, ma prima di imboccare la strada di un intervento che inevitabilmente finirebbe per creare una situazione incandescente ed esplosiva vuole percorrere la strada delle sanzioni e della diplomazia. Le sanzioni potrebbero essere allargate e appesantite per incidere sulla già problematica economia siriana. Oltre Oceano non si nasconde l’apprezzamento per la proposta della Turchia che vorrebbe organizzare una conferenza internazionale per sensibilizzare l’opinione pubblica e nello stesso tempo per isolare il regime. Siccome, però, le sanzioni non avranno il successo che ci si attenderebbe e siccome la diplomazia probabilmente incontrerebbe difficoltà a causa dell’indifferenza che il regime mostra verso ogni forma di critiche internazionali, alla Casa Bianca non resta che elaborare un piano più ”muscolare” che militare. Ad esempio: fornitura di armi agl’insorti, in modo diretto e indiretto, patto d’azione con il Qatar e l’Arabia Saudita, impiego del territorio turco come base di appoggio per gl’insorti, imposizione di corridoi aerei per impedire il bombardamento dei civili da parte dell’esercito fedele al regime di Assad. L’iniziativa ”muscolare” prevede anche l’uso di truppe speciali e di droni. In poche parole, se non è un intervento militare aperto, poco ci manca. Inutile dire che comunque si tratterebbe di un conflitto reale, per quanto minimizzato a parole. L’operazione militare, comunque camuffata, non trova tutti d’accordo. Molti addetti ai lavori mettono l’accento sui rischi che un eventuale conflitto regionale possa trasformarsi in guerra aperta tra vari Stati in Medio Oriente. Inoltre, sono ancora in tanti a ricordare l’opinione di Ronald Reagan, secondo cui la Siria era già verso la metà degli anni Ottanta ”un osso duro”. La Siria, insomma, non è la Libia o la Tunisia e l’Egitto: lo dice l’Unione europea che teme un conflitto generalizzato.con conseguenze pesanti sull’economia, già fortemente provata. Il dialogo e la via diplomatica sembra essere la soluzione più ragionevole, per quanto anche tra le più difficili, per il buon motivo che le parti avverse non prendono in considerazione nessun atteggiamento di resa. V’è da aggiungere che anche la Russia, pur sfruttando il diritto di veto, ha fatto intendere che una via alternativa alla guerra deve pur esserci. E‘ per questo che ha suggerito ad Assad di attribuire un incarico speciale al vice presidente nel tentativo di stabilire un canale di dialogo tra il regime e gl’insorti, ma il suggerimento non ha trovato nessuna comprensione presso Assad. La stessa Russia, in poche parole, pur essendo contro un intervento militare e anche di sanzioni economiche più strette, è consapevole della gravità della situazione siriana. Per questo Putin ha dichiarato che ”devono essere i siriani a decidere”. Intanto sono venuti fuori alcuni tasselli che compongono un mosaico a tinte fosche. Secondo l’Onu sarebbero 6000 le vittime della repressione, secondo il regime 4500, più della metà tra le forze dell’ordine, a dimostrazione che la violenza sarebbe impiegata dagl’insorti e non dalla repressione del regime. Tra le vittime, secondo fonti non governative, ci sarebbero almeno 400 bambini, arrestati e torturati.