Il G20 di San Pietroburgo diviso a metà sull’attacco americano alla Siria. Obama: “L’intervento è necessario per impedire che altri dittatori si sentano autorizzati ad usare armi di distruzione di massa”
Il G20 di San Pietroburgo non sarà certo ricordato per le decisioni in materia di economia, ma per la divisione che si è consumata a proposito dell’attacco punitivo deciso da Obama contro la Siria di Assad. Questa divisione ha tante sfaccettature, a seconda degli interessi di chi parla. Prendiamo gli Usa. Obama diffonde una lista di 10 Paesi che “condannano l’attacco chimico e ritengono il regime di Assad responsabile”. Questi Paesi sono: Usa, Australia, Canada, Francia, Italia, Giappone, Gran Bretagna, Corea del Sud, Spagna e Turchia. Però, più che di coalizione militare, si tratta di una coalizione politica, perché il parlamento della Gran Bretagna ha detto no all’attacco. Prendiamo adesso la Russia. Putin ha stilato a sua volta un elenco di Paesi favorevoli all’attacco. Si tratta di Usa, Francia, Canada, Turchia e Arabia Saudita. Cameron è favorevole all’attacco ma non può attuarlo perché, come detto, il parlamento ha votato contro.
Insomma, la divisione si è materializzata su un equivoco: tra coloro che condannano l’uso delle armi chimiche da parte di Assad e coloro che sono favorevoli all’attacco. La coperta, come si vede, viene tirata da una parte e dall’altra, a secondo delle convenienze. In questa divisione, l’Italia sta nel mezzo o, se si vuole, nella lista di Usa e in quella della Russia.
Diciamo la verità, è una posizione, quella dell’Italia, che salva capra e cavoli, ma che non è la posizione di un Paese che ha un grande ruolo nella politica internazionale, e soprattutto è la posizione di chi per non scontentare nessuno scontenta alla fine tutti. Emma Bonino, alcuni giorni fa, aveva detto che Assad aveva delle responsabilità, forse, nel massacro e nell’uso delle armi chimiche, ma che attaccarlo sarebbe stato un grosso errore, con rischio “di una deflagrazione mondiale”, per cui l’Italia in caso di attacco avrebbe negato l’uso delle basi. Una posizione, quella di Emma Bonino, ministro degli Esteri, ferma e chiara. Poi gli Usa hanno protestato per “i toni accesi” del ministro italiano e Letta, in successive occasioni, ultima quella del G20, ha addolcito tanto i toni per sedare il disappunto Usa che l’Italia è stata inserita nei Paesi di coloro che “ritengono il regime di Assad responsabile dell’attacco chimico” e favorevoli all’intervento, anche se solo a parole, senza parteciparvi nei fatti. Come ognuno può vedere, l’Italia, con la correzione della posizione espressa da Emma Bonino, rischia di scontentare in fondo sia gli Usa, che apprezzano per dovere di diplomazia, sia la Russia, per gli stessi motivi.
Ma, posizione dell’Italia a parte, torniamo alla posta in gioco calata sul tavolo al G20 di San Pietroburgo. Dice il presidente Usa, Barack Obama: “La totalità dei Paesi è d’accordo sul fatto che sono state usate armi chimiche a Damasco il 21 agosto e la vasta maggioranza condivide la convinzione che è stato il regime di Assad a farlo. La divisione c’è tra chi vuole agire nell’ambito dell’Onu e chi invece ritiene che lo stallo Onu impone comunque di dare una risposta”.. In sostanza, Obama, fallita l’egida dell’Onu per il veto della Russia, si assume il compito di “dare una lezione” ad Assad, altrimenti qualsiasi altro regime si sentirà legittimato a far uso di armi chimiche. Putin enumera chi si oppone all’attacco e cita l’Argentina, il Brasile, il Sud Africa, la Cina, l’India, l’Italia. Si tratta, come si vede, di Paesi ad economia emergente, ma anche di Paesi che da soli rappresentano più della metà della popolazione del mondo. Putin, però, mette in dubbio che Assad abbia usato le armi chimiche, ritiene che siano stati gli oppositori a farlo per legittimare e favorire l’intervento americano che potrebbe rovesciare le sorti di un conflitto che il regime sta per vincere. Sono in tanti, anche negli Usa, a dubitare sulle prove che certificano le responsabilità di Damasco.
In ogni caso, la divisione al G20 comporterà delle conseguenze. La prima è che se gli Usa attaccano, la Russia “aiuterà la Siria” con la fornitura delle armi. Probabilmente, stando alle dichiarazioni, a intervenire direttamente sarà l’Iran, magari con attentati alle ambasciate. I raid saranno limitati, ma nessuno può prevedere come evolverà la situazione, soprattutto se dovesse crearsi un effetto domino. Il Medio Oriente è una polveriera. La seconda conseguenza è che si sta coagulando un’alleanza tra Paesi che si oppongono allo strapotere degli Usa. C’era una volta la guerra fredda che si basava su due mondi ideologicamente e politicamente contrapposti, anche sul piano delle alleanze militari. Ora i due mondi non sono in guerra, ma si contendono potere, prestigio, influenze e benessere: nessuno riconosce la supremazia di un altro, ognuno fa i propri interessi, che non sono sempre quelli degli altri o di tutti, come la vicenda Siria sta dimostrando.
Resta il fatto – grave e serio – che queste divergenze arrivano fino a non tener conto dell’eventualità che esploda una crisi ancora più grave.