Isabella Bossi Fedrigotti, scrittrice e articolista del Corriere della sera, sarà ospite del consueto appuntamento ASRI, l’Associazione svizzera che cura i rapporti culturali ed economici con l’Italia, previsto il prossimo 22 ottobre presso l’Università di Zurigo (Rämistrasse 71, Aula KOL-F118). “Donna e famiglia: nuovi ruoli, nuove realtà” sarà il tema trattato dalla Dott.ssa Isabella Bossi Fedrigotti a cui abbiamo rivolto alcune domande
Lei è giornalista e scrittrice. Quando ha deciso che scrivere sarebbe diventato il suo mestiere? È la scrittura l’espressione migliore per descrivere in maniera compiuta il suo pensiero?
Non è stata una decisione. È venuto a poco a poco. Ho sempre scritto, fin da bambina, racconti, poesie, diario, lettere. Quando si è trattato di cercare un lavoro mi sono chiesta: cosa mi piace fare? E la risposta è stata: scrivere. Perciò mi sono cercata un lavoro come giornalista. La scrittura non è solo il mio lavoro ma anche la mia casa, il luogo dove mi trovo meglio. C’è da dire che, essendo timida per natura, ho sempre parlato poco e perciò scrivere era fondamentale…
In merito alla conferenza che terrà a Zurigo “Donna e Famiglia: nuovi ruoli, nuove realtà”, può spiegarci quali sono, a suo parere, i compromessi che la donna di oggi deve accettare per affrontare al meglio ruoli e realtà odierni?
Le donne i compromessi li fanno da sempre e oggi ancora di più altrimenti non riuscirebbero in nessun modo a combinare famiglia e lavoro. Nella sostanza cosa si fa? Si trascura un poco il lavoro e si trascura un poco la famiglia. Non è bello, non piace a nessuno, però io penso che sia questo il panorama più abituale.
Dalla sua esperienza personale, come è riuscita a conciliare i ruoli di donna, lavoratrice, scrittrice, madre e moglie?
Malissimo. Ai miei tempi i mariti ancora non condividevano le incombenze di casa e figli e le mogli – pur lavorando a loro volta – trovavano abbastanza normale che fosse così. Perciò ho trascurato sia lavoro che figli. Solo che l’impegno non sempre massimo sul lavoro non ha avuto grandi conseguenze, mentre l’aver trascurato i figli, nel senso di non aver loro dedicato tutto il tempo di cui avevano ed avevo bisogno io, mi ha lasciato un rimpianto profondo nel cuore
C’è stato un tempo in cui la famiglia rappresentava l’intero universo femminile: la donna si realizzava pienamente riuscendo ad essere una “buona moglie”, una “madre esemplare” e una “brava casalinga”. Oggi invece le aspirazioni femminili hanno sconfinato in nuovi e più ambiziosi traguardi. In che misura questo può essere visto un bene e in quale, invece, la donna rischia di eccedere e chiedere troppo a se stessa?
È ovvio che le donne, una volta che hanno studiato (stando ai numeri, meglio e più in fretta degli uomini) vogliano poi mettere in pratica quello che hanno appreso e voler lavorare e anche fare carriera. Senza considerare il fatto che, in una famiglia, con gli stipendi che abbiamo oggi in Italia, non basta che uno solo lavori. Indietro non si torna. L’unica soluzione è dunque un cambio di cultura e di mentalità non solo di mariti e padri ma anche dei datori di lavoro. I figli, la famiglia, la casa non possono essere considerati soltanto “cose da donne” e i datori di lavoro devono aspettarsi che un loro dipendente maschio si possa assentare per malattia del figlio esattamente come una dipendente femmina.
Donne esemplari. Quali, secondo lei, nella società attuale possono rappresentare degli ottimi esempi di donna realizzata nella sua moltitudine di ruoli e perché?
Non ho esempi da portare. Sotto i miei occhi ho le mie colleghe giornaliste: una volta la maggioranza (che poi rispetto ai maschi era una assoluta minoranza) non aveva figli; ora, se Dio vuole, quasi tutte ne hanno, anche due. Qualcosa, dunque, è cambiato.
Eveline Bentivegna