Una volta affidata la famigliola alle mani sicure di Elena, per Costantino si trattava ora di raggiungere la Britannia il più presto possibile. Ma per quale via? Per viaggiare fino a Naissus aveva potuto consultare l’itinerarium imperiale, la mappa delle strade maestre, di cui già a partire da Cesare i governi avevano proceduto alla compilazione. Il più completo dei quali, opportunamente supervisionato in un minuzioso lavoro durato 25 anni dai geografi greci Zenodosso, Teodoto e Policlito, aveva avuto la sorte di essere scolpito nella pietra e collocato presso al Pantheon, dove viaggiatori e mercanti potevano liberamente trascriverne le parti che li interessavano. Accanto a questo, altri itinerari ci sono giunti, come quello iniziato nel 217 da Antonino e più volte ristampato; o quell’altro insospettatamente riportato su quattro Coppe in argento, recanti i nomi e le distanze delle stazioni tra Cadice e Roma. Ma il più famoso resta probabilmente la Tabula Peutingeriana, una vera e propria carta geografica per quanto molto primitiva, che però in quel momento non faceva al caso del nostro fuggitivo.
Se le mappe potevano essere vendute anche ai comuni viaggiatori, a maggior ragione aveva potuto impossessarsene Costantino, come futuro comandante di Drobeta. E in effetti la sua pergamena, più elaborata e contenente anche simboli di stazioni o corsi d’acqua, gli aveva dato un’idea abbastanza precisa su come arrivare a Naissus. Studiandola, aveva potuto pianificare la successione delle città toccate; e se pure la lista era incompleta, ad orientarlo era bastato che vi fosse tracciato il diagramma delle ramificazioni stradali. Non aveva potuto certo dedurre l’orografia del terreno; ma la questione era indifferente: giacché, gli fosse pure toccato di scalare vette e calarsi in gole profonde, niente avrebbe potuto fermarlo.
Ora, però, la difficoltà maggiore consisteva nel fatto che la sua mappa si estendeva fino alla stazione di Drobeta, dove Traiano aveva commissionato l’imponente ponte sul Danubio, e dove lui avrebbe dovuto giungere a destinazione. Il sospettoso Galerio si era guardato bene dal fornirgliene ancora. E a che scopo, del resto, se il suo viaggio terminava là? Altro non gli serviva, e non gli fu dato. Pertanto, appena Costantino ebbe intrapresa la deviazione verso ovest, il tracciato in suo possesso non lo soccorse più; e non gli restò che affidarsi al suo fiuto e alla sua intelligenza, per proseguire il viaggio.
Di un’unica cosa era certo: alla biforcazione di Naissus, invece che in direzione di Drobeta, aveva preso in senso opposto, chiedendo in tutte le osterie e a tutti i passanti ragguagli sulla via per il mare. Intendeva così lasciare traccia del suo passaggio, per far credere agli inseguitori, che presto si sarebbero messi alle sue calcagna, di essersi diretto a Salona, per porre la famiglia sotto la custodia di Diocleziano; mentre lui invece, all’altezza di Sarajevo, avrebbe nuovamente virato verso nord, in direzione di Aquileia. Da dove avrebbe proseguito per il Passo di Resia; attraverso la Via Mala avrebbe superato il San Bernardino; avrebbe sostato a Vindonissa, prima di imbarcarsi sul Reno poco lontano; e, navigandolo fino alla foce, sarebbe infine salpato da Gessoriacum per la Britannia.
Pur galoppando quasi senza sosta, la maggior parte delle strade percorse, abbastanza agevoli, gli fecero misurare quanto il sistema stradale romano rivelasse tutta la sua efficienza, presentandogli percorsi rettilinei tra le città più importanti. Anche se, prudentemente, evitò il più possibile i sentieri facili; e si trovò a superare ponti e fossati: privilegiando, dove la vista o un riferimento gli facilitavano l’orientamento, viottoli appena o per nulla battuti. Così, inerpicandosi per le colline e scivolando nelle vallate, condusse il cavallo attraverso sterpaglie e campi d’alta vegetazione, allungando l’itinerario col solo criterio della luna o delle stelle. Solo di tanto in tanto ridiscendeva sulle strade principali; e, soprattutto in prossimità di grandi incroci, si accostava alle pietre miliari, per ritrovare un punto di rotta più stabile.
Dell’opinione di Strabone, secondo cui i romani, oltre a edificare acquedotti e cloache avevano posto grande cura nelle strade, Costantino ebbe conferma più che mai, nel percorrerle non al comando di una legione, ma come un fuggiasco. E che fossero state costruite per scopi militari, politici o commerciali, esse gli consentivano di spostarsi rapidamente. Non mancavano certo tratti ripidi e impraticabili per il traffico commerciale; ma la maggior parte di esse erano pavimentate secondo le antiche prescrizioni delle Dodici Tavole, che ne avevano fissato la larghezza a due metri e mezzo nei tratti dritti e a quasi cinque in quelli curvi; e avevano autorizzato, in caso di inagibilità, il libero passaggio dei viaggiatori attraverso terre private.
Partita dall’Urbe, la pavimentazione delle vie si era poi estesa alle città più lontane, talvolta ricalcando tracciati esistenti. Ché anche se la costruzione di una strada cadeva sotto la giurisdizione di un console, ogni singola città era responsabile delle proprie. Dappertutto, però, i costruttori avevano di attenersi alla larghezza standard; e l’intento di costruire strade dritte li aveva portati spesso a salite ripidissime, perché preferivano trovare soluzioni gli ostacoli, piuttosto che aggirarli. Se un ruscello poteva essere superato con un semplice assito, per i fiumi si necessitava la costruzione di ponti, nella cui arte i progettisti erano maestri. E molti infatti ne superò Costantino: sia in legno, poggianti su piloni infissi nel fiume; sia interamente in pietra, sostenuti da arcate etrusche. Niente aveva frenato l’inventiva creativa e l’audacia degli ingegneri, che avevano oltrepassato terreni paludosi col rialzi fino a due metri; e che davanti a massi, dirupi e ostruzioni di ogni genere, avevano operato tagli audaci o gallerie profonde, per permettere alle strade di procedere dritte anche su terreni con forti pendenze. Così che la rete stradale aveva raggiunto tutto l’impero; e l’accortezza e l’esperienza dei progettisti avevano dato risultati quasi sempre eccellenti.