Corsi di Lingua e Cultura Italiana in Svizzera
Gerardo Petta in un suo articolo ha fatto notare che molti insegnanti assunti in loco non hanno l’abilitazione e quindi hanno meno diritto rispetto ai colleghi che si sono impegnati e hanno sostenuto gli esami dei concorsi per il conseguimento dell’abilitazione.
Questo dato, che è vero, ci fornisce molte informazioni sulle contraddizioni presenti nei corsi di lingua e cultura e ci permette anche di approfondire alcuni temi affrontati in un recente convegno riguardante il Welfare: le possibilità di accesso e la salvaguardia del modello sociale e lavorativo europeo messo in discussione dalla crisi finanziaria. Gli insegnanti assunti in loco non partecipano ai concorsi abilitanti perché non possono. Se fanno domanda, la domanda, per legge, è respinta perché il servizio d’insegnamento che loro hanno prestato sotto contratto stipulato dagli enti gestori non viene riconosciuto dagli uffici scuola competenti.
L’abilitazione è un titolo che dovrebbe attestare proprio la capacità di un docente ad insegnare. Le riprove di questa capacità dovrebbero essere essenzialmente due: gli anni esperienza sul campo dei candidati e l’impegno dei candidati al continuo aggiornamento. Inoltre si dovrebbe poter conseguire l’abilitazione lavorando. Nello specifico degli insegnanti dei corsi di lingua e cultura assunti in loco (ma anche per gli insegnanti in Italia, basti pensare alle condizione del precariato), si verifica il seguente paradosso: ci sono docenti che lavorano da anni, hanno cresciuto le loro famiglie ed educato generazioni di ragazzi, ma non hanno avuto la possibilità di accedere al titolo, in quanto gli è stato negato.
E questo perché succede? Suc-cede perché l’accesso all’abilitazione (che dovrebbe semplicemente confermare una realtà di fatto) viene bloccata e resa molto difficile (soprattutto se si fa un paragone con le possibilità di accesso degli anni 70). Lo scopo di una tale scelta politico/sindacale non è quella di garantire il titolo a chi ha conoscenza ed esperienza, ma è quella di regolamentare il mercato del lavoro e tutelare la pace sociale.
Allo stesso modo, il mercato del lavoro che si vuole garantire non è quello reale, ma è il mercato del lavoro del posto fisso. Meccanismo che ha funzionato nel passato e ha permesso, come dicevo prima, di mantenere un certo equilibro sociale, ma ora non funziona più. È uno di quegli aspetti del modello sociale europeo su cui bisogna intervenire per salvaguardarne invece i valori e i principi di welfare ancora vivi e attuali.
Alle nuove generazioni che si affacciano sul modo del lavoro (e anche a coloro che già vi si trovano) vengono richieste: flessibilità, competenza, capacità di lavorare in autonomia, capacità alle relazioni con gli altri, propensione alla formazione permanente. Ai giovani e a chi adesso si confronta col mondo del lavoro in crisi viene ripetuto come un tormentone che è necessaria flessibilità e disponibilità a cambiare più lavori nell’arco della propria carriera.
Mi domando se l’apparato burocratico e legislativo del mondo del lavoro italiano e il modello sociale europeo (in particolare quello italiano) siano in grado di dare delle risposte adeguate a questa realtà che cambia ad una velocità sorprendente e pone obiettivi sempre più alti?
Oppure l’apparato burocratico legislativo del mondo del lavoro italiano, continua a ripetere stancamente dei modelli che non funzionano più e che ormai creano solo conflitti tra le diverse categorie dei lavoratori. Modelli che si dovrebbe avere il coraggio di modificare, sempre con la dovuta prudenza, per garantire lavoro flessibile sì, ma non precario.
E infine per restare sui temi dibattuti in questi giorni nei convegni e nei comunicati sindacali, un altro degli aspetti che forse bisognerebbe modificare di questo modello sociale europeo: è la politica dell’”aiutino” la politica dell’emergenza, la politica del reperimento fondi per l’emergenza. Con qualche briciola (ammesso che ce ne siano ancora) si tranquillizza la situazione per uno o due mesi e poi il problema non viene mai affrontato alla radice.
La gratitudine non è per quei politici o sindacalisti e forze sociali che riescono a raggranellare qualche spicciolo per l’oggi o a garantire qualche posto fisso di ieri, o a difendere qualche convenienza di sempre, ma la gratitudine è per quei politici e sindacalisti che si siedono al tavolo delle trattativa preparati per un nuovo modello europeo con dati, statistiche, studi, proiezioni che guardano e arrivano (anche solo con la forza dell’immaginazione) fino al 2025.
Nello specifico della nostra micro situazione e nello specifico dei Corsi di lingua e cultura anche io penso che per dare qualità agli alunni sia necessario qualificare il lavoro di tutti gli insegnanti che vi operano, partendo proprio dalla funzione pubblica di questa professione.
Paola Frezza
(Docente Corsi Medi – Zurigo)