Le infrastrutture – pensiamo soltanto a strade, ferrovie, scuole o centrali elettriche – sono assieme alla previdenza sociale la principale fonte di spese per i poteri pubblici. E, nel contempo, rappresentano anche uno dei principali indicatori del benessere di un paese.
In un confronto internazionale, la Svizzera dispone di una rete molto estesa di infrastrutture di qualità, che fanno ormai parte del paesaggio in cui ci muoviamo ogni giorno. Questo patrimonio collettivo, che ha cominciato a svilupparsi soprattutto dall’inizio dell’industrializzazione, si è fortemente arricchito dal Dopoguerra, ad esempio con la realizzazione della rete autostradale nazionale.
Dopo aver registrato per lungo tempo una crescita che sembrava inarrestabile, da alcuni anni lo sviluppo delle infrastrutture ha cominciato a raggiungere i propri limiti. Se i bisogni della popolazione continuano ad aumentare, le risorse naturali diventano infatti sempre più scarse. E lo stesso vale per i mezzi finanziari, soprattutto in tempi, come questi, di crisi economica. Nei prossimi anni, la Confederazione potrà quindi assicurare infrastrutture di qualità solo se riuscirà a definire una strategia nazionale in grado di conciliare fabbisogni e risorse.
Per lanciare questa riflessione, il Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni ha presentato ad inizio novembre il primo rapporto sul futuro della rete di infrastrutture nazionali: strade, ferrovie, trasporti aerei, energia, telecomunicazioni e immobili pubblici.
L’Ufficio federale dell’ambiente (Ufam) ha completato questi dati, pubblicando per la prima volta uno studio sui costi dell’infrastruttura ambientale. Con la crescita demografica e il depauperamento delle risorse naturali, anche l’ambiente rientra sempre più tra i servizi erogati dai poteri pubblici per il benessere della collettività.
Questo patrimonio di infrastrutture ha però un costo sempre più alto: secondo lo studio, Confederazione, Cantoni e Comuni devono devolvere complessivamente 2,7 miliardi di franchi all’anno solo per garantire l’efficienza e il valore delle infrastrutture ambientali attuali: opere di prevenzione di catastrofi naturali, smaltimento dei rifiuti, approvvigionamento di acqua potabile, ripari fonici, protezione dell’aria e gestione delle specie naturali.
In base alle stime dell’Ufam, il valore complessivo dell’infrastruttura ambientale realizzata dai poteri pubblici nel corso dell’ultimo secolo raggiunge 180 miliardi di franchi.
Tenendo conto anche dell’infrastruttura ambientale privata – ad esempio costruzioni antisismiche, allacciamenti domestici all’acqua potabile o protezioni contro sinistri naturali – si arriva a circa 320 miliardi.
Un importo che supera addirittura quello degli immobili pubblici (300 miliardi), della rete stradale (250 miliardi), della rete ferroviaria (70 miliardi) o delle telecomunicazioni (60 miliardi). L’infrastruttura ambientale rappresenta così uno dei principali pilastri dell’economia e contribuisce al buon funzionamento del sistema sociale, come rileva l’Ufam.
“Questi dati sono fondamentali per permettere ai poteri pubblici di garantire anche in futuro la loro pianificazione finanziaria. Ciò anche perché molte infrastrutture ambientali sono ormai alquanto invecchiate e vanno sostituite nei prossimi decenni”, spiega Bruno Oberle, direttore dell’Ufam.
“È il caso di molti impianti di protezione dei pericoli naturali e, in particolare, delle opere di correzione dei letti dei fiumi, che risalgono in buona parte al periodo tra la fine del 19° e l’inizio del 20° secolo. Abbiamo già cominciato i lavori di ricostruzione e rivitalizzazione del Rodano e della Linth. E, piano piano, bisognerà intervenire su tutte le grandi vie fluviali, una dopo l’altra. Negli ultimi decenni, secondo lo studio, Confederazione, Cantoni e Comuni hanno accumulato dei ritardi nei lavori di rinnovo dell’infrastruttura ambientale. Tra il 1970 e il 2006, i poteri pubblici hanno investito ogni anno circa 240 milioni di franchi in meno di quanto sarebbe stato necessario per conservare l’efficienza degli impianti esistenti.
E, in futuro, gli investimenti finanziari rischiano di aumentare ulteriormente, sottolinea Bruno Oberle. “La popolazione aumenta in media di 100’000 unità all’anno. Siamo sempre di più e costruiamo sempre di più in margine a zone pericolose o addirittura in zone pericolose”.
“E poi vi è ancora la minaccia dei cambiamenti climatici, che rischiano di colpire pesantemente un paese di montagne come la Svizzera. Le loro ripercussioni non possono ancora essere ancora stimate con precisione. Ma già da alcuni anni si denotano dei fenomeni – come un nuovo regime di meteorologia, precipitazioni più intense in alcuni periodi dell’anno – che stanno accelerando il processo di invecchiamento delle infrastrutture ambientali”.
swissinfo.ch
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