La giornalista norvegese Siv Kristin Saelmann costretta ad adeguarsi pena l’allontanamento dal video, ma ha difeso le sue idee e la Corte di Strasburgo le dà ragione
I fatti. E’ accaduto alla fine di ottobre a Siv Kristin Saelmann, una delle più apprezzate conduttrici di NrK, la televisione pubblica norvegese. La giornalista, durante il telegiornale, indossava una catenina d’oro con la croce, della dimensione di 14 millimetri, regalo di suo marito. Ai primi di novembre il responsabile della redazione locale della NrK di Kristiansand, Anders Särheim, comunica alla Saelmann che un gruppo di musulmani ha protestato contro di lei perché sfoggiava la catenina con la piccola croce. Avevano detto: “Quella catenina con la croce offende l’Islam. Quel simbolo non garantisce l’imparzialità del canale”. Anders Särheim, evidentemente incapace di difendere il diritto della giornalista di indossare il vestito e il gioiello che ritiene opportuno, per smorzare la polemica che la lobby islamica aveva montato, s’inventa un codice di abbigliamento mai conosciuto prima e dichiara che “alla NrK abbiamo linee guida chiare sulla necessità per i conduttori dei telegiornali di vestirsi in modo neutrale, e li invitiamo ad evitare l’utilizzo di gioielli con significato religioso o politico”. Il responsabile della NrK la mette di fronte alla scelta: o si adegua o niente video. La giornalista obbedisce e si adegua ma non tace la sua opinione e dice che “sulle passerelle di Dolce&Gabbana sfilano modelle con croci enormi che sembrano tutti cardinali”. E aggiunge: “E’ un simbolo presente da anni nelle fotografie di moda e ho pensato fosse neutrale quando l’ho utilizzato. Mi piace quella croce. Me l’ha regalata mio marito, che l’ha comprata a Dubai”. Niente da fare. Come detto, o la giornalista si adeguava o veniva oscurata.
Nei numerosi dibattiti televisivi nessun esponente musulmano ha partecipato, segno che la cosiddetta lobby islamica ha preferito astutamente lanciare il sasso e lasciare i norvegesi sbranarsi tra di loro. Ora, ai musulmani che hanno protestato sarebbe bastato dire che, come ha osservato la giornalista, le catenine d’oro al collo di uomini e donne esistono da secoli, che fanno parte dell’abbigliamento usuale non solo in Norvegia, ma in moltissimi Paesi del mondo e che ognuno ha il diritto di vestirsi come vuole, purché siano rispettate le regole del buon senso e della decenza. Infine, che se la catenina con la croce disturbava qualcuno, questo qualcuno poteva benissimo cambiare canale.
Se questo non è avvenuto da parte degli intellettuali e dei responsabili politici e manageriali è perché in nome del politicamente corretto ci si cala le braghe e si rinuncia a ciò che ha sempre fatto parte della cultura e delle tradizioni locali e nazionali. La libertà non è libertà di prevaricazione da parte di una minoranza su una maggioranza, ma semplicemente garanzia dei diritti di ognuno.
La verità, dunque, è che i musulmani hanno lanciato il sasso nello stagno e si sono ritirati, per vedere l’effetto che faceva. Se ci sono state polemiche è perché in nome di un astratto rispetto della sensibilità di una comunità si è voluto fare una crociata contro i simboli di una religione e di una cultura ufficiale, tanto è vero che non solo nessuno protesta quando nei Paesi musulmani non si tollerano altri simboli religiosi, ma si tace quando si viene arrestati e condannati o uccisi in nome dell’unica religione del posto. Insomma, il musulmano nei Paesi cristiani deve avere sempre ragione, il cristiano sempre torto, sia a casa propria che altrove. Ciò facendo e sostenendo, si contraddice non solo lo spirito laico e democratico, ma anche la sentenza della Corte europea dei diritti umani.
Come forse si ricorderà, qualche anno fa Nadia Ewadia, una hostess della British Airways rivendicò il diritto di indossare un’analoga catenina mentre era al lavoro. Fu licenziata, ma lei fece ricorso alla Corte di Strasburgo e ottenne soddisfazione. Lo scorso gennaio la Corte di Strasburgo, infatti, le ha dato ragione mettendo in evidenza “l’importanza della libertà di religione, elemento essenziale dell’identità dei credenti e fondamento, tra altri, delle società democratiche pluraliste”. E’ vero che la Corte di Strasburgo ha messo in guardia di casi in cui “la pratica religiosa di un individuo sconfina sui diritti altrui”, ma è vero quanto detto prima, e cioè che i diritti individuali sono sacrosanti se non negano quello degli altri, e una catenina d’oro con la croce non è un’offesa né lede i diritti di nessuno.
La vescova luterana Laila Riksaasen Dahl, in uno degli accesi dibattiti televisivi sul tema, ha osservato che anche sulla bandiera norvegese campeggia una croce, che esiste anche sulle bandiere di altri Paesi nordici. Ebbene, la Norvegia dovrebbe cancellare la croce sulla propria bandiera per non suscitare la sensibilità della comunità musulmana in Norvegia? Andiamo.