Immagina di scoprirti malato di Covid. Di non riuscire più a respirare e di avere urgente bisogno di ossigeno. Nelle stesse settimane in cui tutte le terapie intensive erano occupate, fino al collasso. Tanto da non esserci posto. E immagina che all’improvviso, senza chiedere nulla in cambio, e senza fare tanto rumore, un altro Paese si offra di salvarti la vita, offrendo di accoglierti nei suoi ospedali. Mandando perfino degli aerei, per garantire il trasporto in totale sicurezza.
Non é una favola. È ciò che è accaduto un anno fa. A 44 italiani, malati di covid.
A partire dal 23 marzo del 2020 la Germania organizzò un vero e proprio ponte aereo tra l’aeroporto di Bergamo e varie città tedesche – Lipsia, Dresda, Colonia, Bonn, Bochum, Essen, Norimberga, Erlangen e Wuerzburg. Una storia praticamente sconosciuta. Di cui quasi non si è parlato. Ma che ha donato una speranza di vita a 44 pazienti italiani delle parti di Bergamo, affetti da coronavirus, accolti nei reparti di terapia intensiva di diversi ospedali in Sassonia, in Baviera ed in Nordreno-Vestfalia, nelle cliniche della Croce Rossa e in alcuni ospedali militari di Amburgo e della Renania Palatinato.
Erano le settimane più drammatiche dell’epidemia. L’Italia era nel lockdown più assoluto. Ed erano ormai chiare le proporzioni dell’emergenza sanitaria. Mille morti al giorno. Ospedali in affanno. Infermieri e medici stremati. Al lavoro, senza sosta.
Di quei 44 pazienti, quattordici purtroppo non ce l’hanno fatta. Ma trenta di loro, invece, sono guariti e hanno fatto rientro in Italia. Tra le loro famiglie. Tra i loro cari. Ed oggi, ad un anno di distanza, sentono il bisogno di dire grazie.
Grazie a chi è riuscito, in pieno lockdown, a mettere in campo una piccola, grande azione ciclopica. Sei voli dell’Aeronautica militare tedesca. Due voli dell’Aeronautica militare italiana. Cinque voli dell’Adac, l’omologo dell’Aci italiana. Con tutti i costi di trasporto e di degenza, interamente coperti dalla Repubblica Federale.
Quel grazie va a persone in carne ed ossa. A due funzionari dell’Ambasciata tedesca a Roma che nella drammatica situazione di inizio pandemia hanno avuto la generosità di inventarsi un ponte aereo che regalasse una speranza di salvezza a malati altrimenti destinati a morte certa. Hanno poi avuto la tenacia e l’autorevolezza di convincere le autorità e le strutture ospedaliere dei diversi Lander tedeschi, ma anche le autorità italiane e le rispettive aeronautiche militari e le compagnie aeree. Un lavoro per niente scontato, che ha permesso il coordinamento tra Ambasciata di Germania, la Protezione Civile Italiana, la Croce Rossa di entrambi i Paesi e l’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo. Rendendo possibile, di fatto, che il ponte aereo decollasse.
Spesso i grandi gesti nascono dall’impegno dei singoli nel proprio piccolo. Anche in questo caso, sono due le persone che hanno reso possibile tutto. L’Ambasciatore di Germania in Italia, Viktor Elbling ed il suo giovane consigliere politico, Niklas Wagner. Entrambi hanno agito andando ben oltre il loro incarico di funzionari di Ambasciata.
Sono state dette parole molto belle su questa iniziativa in ambito ufficiale. L’allora Ambasciatore italiano in Germania ha dichiarato che il ponte aereo tra Bergamo e varie città tedesche “è entrato nella storia delle relazioni bilaterali”. Secondo la Protezione Civile, potrebbe essere stata la più grande missione umanitaria in ambito virologo della storia.
Al di là delle definizioni, credo che sia semplicemente, una bellissima storia. Che apre il cuore. Racconta la profonda amicizia del popolo tedesco verso quello italiano. Ricorda quanto sia prezioso coltivare il dialogo in tempi di pace, per ricevere aiuto in tempi di guerra. E ricorda anche quanto la dedizione di singole persone possa fare la differenza, nei rapporti tra i popoli e anche nel salvare vite umane. Un grazie profondo agli uomini, che danno ancora più valore alle Istituzioni, Viktor Elbling e Niklas Wagner.
La generosità non ha confini.
di Laura Garavini