
Sono trascorsi 80 anni dall’apertura dei cancelli del più famoso campo di concentramento, quello di Auschwitz, in Polonia, era il 1945. Seguendo i buoni propositi, tutti si prestano al gioco del ricordo, al gioco della celebrazione della Shoah e delle innumerevoli vittime di questo fenomeno: 6 milioni di ebrei uccisi dai nazisti, con loro anche sinti, rom, dissidenti politici e omosessuali.
Ogni anno, puntuali, stampa, televisione, istituzioni e associazioni organizzano eventi particolari e dedicati concentrandoli nei giorni che precedono la data di oggi, 27 Gennaio, per dar fiato alla memoria, per tenerla viva e per non spegnere i riflettori su ciò che accadde allora e su ciò che è sempre in agguato e potrebbe ripetersi. Molti ancora sono convinti che il delirio di ciò che accadde allora non può più ripetersi, probabilmente è così, la società si è evoluta, è cambiata così come lo scenario mondiale, ma il male esiste sempre, è un “mutaforme”, se vogliamo attingere dal folklore, si adatta alle condizioni e in maniera sempre più subdola agisce quando non ce lo aspettiamo. Per questo, contro chi sostiene che non bisogna gravare e appesantire la memoria della nuova generazione, che apparentemente non ha alcun legame con il delirio di quel periodo buio dell’umanità, bisogna ricordare che, anche se in forma diversa, l’antisemitismo esiste ancora.
Lo leggiamo giornalmente nelle cronache di tutto il mondo, dove gli atti di violenza e di discriminazione sembrano essere sempre più all’ordine del giorno e legittimati da un sentimento controverso comune e sempre più diffuso.
Inoltre, quello che sta succedendo a Gaza, per esempio, e la politica di Netanyahu in questo conflitto, che ha causato innumerevoli vittime di civili innocenti, ha il potere di sotterrare tra le macerie tutti gli sforzi fatti in questi anni per mantenere viva la memoria sul genocidio della shoah. A cosa serve ricordare e celebrare un genocidio se le vittime sono le prime a dimenticarsene diventando i carnefici? Un interrogativo plausibile, certo, ma che serve da pretesto per giustificare certi atti ignobili di xenofobia, odio razziale e antisemitismo sempre più espliciti.
Oggi, purtroppo, è effettivo il rischio che questo particolare giorno, il 27 gennaio con “Giornata della memoria” si riduca ad essere solo un rito fine a se stesso e privo di significato, di fronte ai casi di antisemitismo che forse hanno altri mezzi, altre vesti, altri modus operandi, ma che stanno diventando sempre più frequenti e sfrontati.
Le giovani generazioni sono purtroppo sempre più esortate a “liberarsi” di un ricordo che secondo alcuni non gli appartiene. Così Elon Musk che, nel dare il suo sostegno all’elezione di un partito neonazista in Germania, candidamente suggerisce che le colpe dei “bisnonni non devono ricadere sui nipoti”. È un subdolo tentativo di cancellare quello che è stata la storia della nostra umanità, un comportamento che favorisce il già diffuso deficit di memoria storica e legittima l’antisemitismo dilagante degli ultimi tempi. Chi può negare, per esempio, che le indegne accuse rivolte alla senatrice Liliana Segre non siano un chiaro esempio di antisemitismo manifesto? Anche la Senatrice ha chiaro questo concetto, quando nell’intervista per il Giorno della Memoria ha affermato che l’antisemitismo c’è sempre stato, solo che prima “non era possibile parlarne nei termini sfacciati, vergognosi e disgustosi dell’antisemitismo di oggi”. È un chiaro segnale, il mondo sta cominciando a dimenticare.
Aveva ragione – come capita spesso di costatare – Primo Levi, quando scrisse:
“Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi. La peste si è spenta , ma l’infezione serpeggia”. Ci sono veleni di certi esseri striscianti di cui ancora non possediamo l’antidoto.
Redazione La Pagina