L’informazione in Italia oggi, e il modo di farla, raccontata da uno dei maggiori protagonisti del panorama giornalistico italiano, Enrico Mentana, che il prossimo 8 febbraio terrà una conferenza sul tema “Fare informazione oggi in Italia”
di Isabella La Rocca
Iniziamo dal suo libro che racconta le storie che hanno cambiato l’Italia e, soprattutto, il mestiere di raccontarle con “Passionaccia”, appunto…
Sì, quel qualcosa che accomuna tutta la gente che ha una vera e propria passione per il proprio lavoro, di qualsiasi tipo esso sia. Il giornalismo, la “missione di informare”, è il compimento di una passione che si alimenta soltanto della nostra curiosità, del bagaglio culturale che ci siamo fatti, della voglia matta di capire prima ancora che di spiegare. La “passionaccia” è una febbre che mi ha colpito fin da ragazzo e non mi ha più lasciato: il suffisso -accia non è un dispregiativo ma un voler dare un sapore selvaggio, aspro, ma vero, ad una passione brada per un mestiere totale, che ti assorbe interamente e ti regala insieme adrenalina e saggezza.
Ripercorrendo la sua esperienza, come è cambiato negli anni il modo di fare informazione in Italia?
Il modo di fare informazione è innanzitutto cambiato da quando l’Italia è entrata a pieno titolo in quei sistemi in cui c’è un forte bipolarismo e, quindi, una forte contrapposizione politica; di conseguenza è aumentato, e molto, il numero dei giornalisti schierati da una parte e dall’altra che vengono visti come paladini di una posizione, di una causa.
Questo a tutto discapito dell’obiettività dell’informazione…
È ovvio, in alcuni dibattiti i giornalisti ormai hanno direttamente preso il posto dei politici.
I giornali, polarizzandosi, hanno perso autonomia e l’indipendenza della stampa va sempre più riducendosi. Su un clima come questo, già di suo abbastanza difficile, insiste anche la ricaduta della grande crisi economica, che ha portato i giornali ad indebolirsi dal punto di vista economico e questo, inevitabilmente, ha inciso anche sul loro contenuto: giornali meno forti economicamente sono giornali anche meno forti dal punto di vista della libertà. I giornali pagano lo scotto della crisi sia con il calo delle vendite che della pubblicità; inoltre, non esistendo più editori puri ma editori che fanno anche molto altro, l’informazione è meno tutelata. In presenza di tali condizioni l’aspetto politico diventa ancora più determinante a scapito della libertà e dell’autonomia dell’informazione: se si deve per forza recitare una parte, pro o contro il Governo, si è portati ad evidenziare, se si è filogovernativi, le cose che vanno bene, se si è antigovernativi, le cose che vanno male.
Ma questo, comunque, non è un problema che riguarda soltanto l’Italia, le aziende editoriali devono fare i conti con la crisi un po’ ovunque e in tutti i Paesi si è sempre avuta una stampa filogovernativa e una di opposizione.
Quando però i ruoli sono così fissati e soprattutto quando questo doppio standard investe la maggior parte dell’informazione allora il rischio aumenta, perché si stenta a trovare voci che non siano condizionate e che siano credibili. Oggi, per intenderci, se Berlusconi dice una cosa sbagliata i giornali che stanno dalla sua parte tenteranno di spiegare comunque che è giusta. Se Berlusconi dice una cosa giusta, i giornali che militano contro Berlusconi cercheranno di spiegare che comunque non è giusta.
Mi pare di capire che in mezzo ci sta ben poco…
Diciamo pure che in mezzo ci sta sempre meno, ovvero solo quell’area che può permettersi di valutare con imparzialità “svizzera” le cose; ma è un’area che si fa sempre più ristretta, e quel che è peggio è che l’opinione pubblica comincia sempre più ad abbracciare questa logica da tifo, da stadio, di cui parlavo prima.
Quindi l’opinione pubblica in Italia è soggiogata dalla stampa?
No, l’opinione pubblica non è né meglio né peggio della stampa e della politica, ed è a sua volta fortemente faziosa da una parte e dall’altra, dando vigore in un certo senso a questa situazione, perché se i giornali governativi e antigovernativi, chiamiamoli così, fossero meno letti di quelli che tentano di stare nel mezzo o, comunque, di seguire una linea indipendente, le cose andrebbero diversamente. È la forza dei lettori che dà forza ai giornali più schierati.
In realtà l’opinione pubblica italiana è come tutte le opinioni pubbliche del mondo, ha una parte che sta di qua, una parte che sta di là e una parte che cerca di farsi la sua idea volta per volta, solo che questa parte nell’era del maggioritario all’italiana si fa più stretta, come quell’area corrispondente, appunto, nel mondo dell’informazione.
L’opinione pubblica italiana, però, diversamente che quella del resto del mondo, deve anche fare i conti con una peculiarità tutta italiana che si chiama conflitto di interessi…
Questo è un discorso che conosciamo bene ed è davvero una peculiarità tutta italiana in un certo senso. In molti altri Paesi c’è una predominanza di una parte sull’altra grazie magari ad una migliore e maggiore influenza sui mezzi d’informazione. Solo in Italia, e forse in pochi altri Paesi, però, esiste anche una diretta rispondenza che si chiama conflitto d’interesse.
È ovvio che la possibilità di una capacità di intervento e di controllo da parte del principale partito di Governo su molta parte dell’informazione dà vita ad una situazione singolare, però è anche vero che gli italiani quando votano pro o contro Berlusconi sono consci di questa realtà ed è vero che nonostante il controllo di cui si parla Berlusconi in media ha vinto un’elezione su due, nel senso che vince, va al Governo, poi ci sono le nuove elezioni e le perde, poi le rivince, poi le riperde: la conclusione è che in realtà l’opinione pubblica non si fa adulterare da questo controllo sui mezzi d’informazione.
La sua esperienza a Mediaset può essere considerata, almeno per gli anni in cui è durata, un esempio di indipendenza. Questo dimostra che con la giusta professionalità in Italia è possibile fare informazione affrancandosi da certi condizionamenti?
Io lo penso sempre, l’ho sempre pensato, e lo continuo a pensare; i giornalisti che sono vittime sono in realtà i carnefici di sè stessi: se si vuol essere liberi e se si riesce a lavorare bene da liberi, facendo dei prodotti che vengono seguiti, la libertà diventa più forte. In relatà spesso ci si lamenta dei condizionamenti quando non si è riusciti a fare un buon prodotto, ad imporre una trasmissione o un giornale, quando insomma non si incontra il favore del pubblico. Con ciò non voglio dire che non esistano forti rischi di condizionamento per chi lavora nell’informazione e soprattutto in televisione, però se uno vuole esser libero deve provarci seriamente ad esserlo e ad alcune condizioni ci si riesce.
Certo è che fra il giornalista e l’editore è più forte l’editore e se c’è uno scontro questo diventa determinante.
Un suo ritorno a Mediaset?
Non è impossibile. Diciamo pure che ci sono dei segnali in tal senso; è ovvio che le condizioni devono essere quelle stesse di cui abbiamo parlato fino ad adesso. A Mediaset ho sempre fatto liberamente il mio lavoro; quando poi c’è stato lo scontro è stato possibile dirlo in maniera altrettanto aperta, ma con questo non posso dimenticare tutte le cose che ho potuto fare. Se ci fossero di nuovo le condizioni per fare un lavoro giornalistico credibile e autorevole ci tornerei certamente.
Da spettatore, nell’attuale panorama televisivo italiano cosa c’è di meritevole?
Io sono un giocatore, non un arbitro: non mi piace dare i voti agli altri. Premesso questo, sono un grande estimatore di Milena Gabanelli che con il suo Report fa una trasmissione molto interessante dal punto di vista giornalistico. Poi però ci sono anche tutti gli altri ma, ripeto, non sono un arbitro o un critico che dà le pagelle.
Tra il servizio di Mattino 5 sul giudice Mesiano da una parte e il modo in cui è stata trattata la vicenda Marazzo in certe trasmissioni dall’altra, come giudica certo modo di fare giornalismo oggi in Italia? Sembra che si vada ben oltre l’essenzialità della notizia e il dovere di cronaca rispondente all’interesse pubblico, tendendo alla ricerca del sensazionalismo fine a sè stesso o di un giornalismo usato per altri fini…
Per quanto riguarda Mattino 5 e la vicenda Mesiano si è trattato di un evidente e grave errore che si commenta da solo. È una cosa che non bisogna mai fare in televisione in quei termini. Se episodi del genere si ripetessero sarebbe davvero grave.
Le intromissioni nel privato attengono invece ad una prassi più generale, relativa all’anno che abbiamo vissuto scandito dalle donne di Berlusconi, dal caso Marazzo e da tante altre cose del genere; purtroppo è invalso un modo di fare informazione anche sul privato che è molto pericoloso perché fa perdere il senso delle priorità delle cose.
Non ho mai seguito con particolare passione tutta la campagna contro i vizi privati di Berlusconi, proprio perché su Berlusconi, nel bene e nel male, ci sono tante cose pubbliche da dire e da seguire che non si capisce perché bisogna andare anche ad aprire il fronte privato, con quella forza, poi, e con quella potenza cui abbiamo assistito parecchie volte. Il rischio è quello di far germinare un nuovo genere giornalistico che, francamente, è del tutto sgradevole.
Cosa pensa invece dell’informazione on line e della rete in generale? Schifani qualche tempo fa ha dichiarato che Facebook è più pericoloso di certi gruppi degli anni 70…
L’informazione on line vive in Italia, come in tutto il mondo, un clima di attesa, per cui fin quando non si riesce a capire se è profittevole in qualche modo, non ci si fanno parecchi investimenti e resta un’informazione bambina.
Un’informazione più libera o più pericolosa?
Un’informazione che ha entrambe le caratteristiche: è totalmente libera perchè chiunque può farla ed è pericolosa nel senso che in realtà annulla i meriti, non c’è possibilità di verifica delle fonti, di ragguaglio dell’autorevolezza, della tradizione; nel leggere un sito di informazione non si può sapere quanto sia credibile. Su alcuni fatti, anche importanti e gravi, proprio attraverso l’informazione on line si sono diffuse delle teorie tali da mettere in discussione perfino le cose più ovvie, come l’11 settembre per esempio; il rischio, nella libertà più assoluta, è che tutto pesi allo stesso modo, tanto l’informazione autorevole, frutto di un lavoro, di un patrimonio, di una tradizione, quanto l’informazione ruspante che è incontrollabile e magari si fa apprezzare perché più esplicita o più baldanzosa.
Un ricordo di Craxi a 10 anni dalla morte.
Craxi è stato un personaggio dalle molte facce e ciò si evince dal fatto che ciascuno lo ricorda a suo modo. Io non ritengo che i personaggi storici possano essere giudicati a tutto tondo buoni o cattivi; è ovvio che per Craxi si possono dire con ragionevolezza delle cose molto positive e anche delle cose molto negative.
Chi ha vissuto all’estero sa cosa vuol dire avere un leader visto come autorevole fuori, sulla scena internazionale, e quanti invece certi ominicchi siano sottostrati e non facciano fare una grande figura a livello internazionale. Sotto questo aspetto la leadership internazionale degli anni Craxi è stata secondo me innovativa, ha saputo molto, tra l’altro, rinnovare le parole d’ordine, le idee della sinistra e i suoi avversari ne hanno poi dovuto recuperare una grande parte col passare degli anni. Però altrettanto vero è che non ha saputo affrontare, e ne è rimasto a sua volta in qualche modo avvinghiato, la questione morale, la questione del finanziamento dei partiti, la questione degli arricchimenti illeciti del personale politico; quest’aspetto, i difensori di Craxi non possono nasconderlo perchè è certo che c’è stato; lì si superò il limite, causando le ricadute che poi ci sono state.
Ma io sono portato a ritenere che Craxi e i socialisti abbiano svolto una loro funzione storica e che quella si stesse già esaurendo quando è scoppiata tangentopoli, che infatti è stata la linea di confine tra la prima e la seconda Repubblica.
Si trattava di una parte di storia che era già compiuta, ed è per questo che non capisco, soprattutto per quelli che oggi, retrospettivamente, ne parlano male, a cosa serva questo accanimento nei confronti di una pagina che è già stata voltata.