“Un referendum sul divorzio e cioè sul divorzio tra il governo e il paese”: così ha commentato a caldo i referendum Bersani secondo cui “il governo è su una strada diversa da quella su cui viaggia il paese”. Il leader del Pd ha assicurato “l’impegno” dei democratici sui temi legati ai referendum: “Adesso tocca a noi dare risposte positive noi siamo pronti a proporre ed esprimere un altro programma di politica energetica che faccia a meno del piano nucleare del governo e siamo pronti a discutere una proposta di legge che abbiamo già presentato sulla gestione dell’acqua”.
“Un risultato straordinario” secondo il leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro che spiega: “Indipendentemente dal colore politico io ho detto di andare a votare. Questo non era un referendum per dare la spallata al governo. La spallata si dà proponendo noi un’alternativa. Chiede le dimissioni di Berlusconi il vicepresidente di Futuro e Libertà, Italo Bocchino: “Il risultato dei referendum parla chiaro e rappresenta una ulteriore e sonora bocciatura di Berlusconi. Ha vinto la partecipazione libera dei cittadini contro l’arroganza di un governo che vuol tirare a campare grazie agli Scilipoti di turno. Gli italiani non hanno gradito l’autoribaltone messo in campo da Berlusconi e stanno dimostrando che ormai l’asse Pdl-Lega è minoritario nel Paese”. “La strada maestra – sottolinea Bocchino – sarebbe l’abbandono dell’accanimento terapeutico da parte del governo con dimissioni utili a chiarire il quadro politico”.
Un responso, quello uscito dalle urne, da molti interpretato come un segnale inequivocabile di sfiducia nei confronti del governo. E se i partiti d’opposizione fanno pressing sul presidente del Consiglio e ne chiedono le dimissioni, la tensione sale anche tra gli alleati del premier, con i leghisti che si dicono apertamente “stufi di prendere sberle”. “Alle Amministrative due settimane fa abbiamo preso la prima sberla, ora con il referendum è arrivata la seconda sberla e non vorrei che quella di prendere sberle diventasse un’abitudine”, ha dichiarato Roberto Calderoli, della Lega Nord. Domenica, dice Calderoli “andremo a Pontida per dire quello che Berlusconi dovrà portare in Aula il 22 giugno, visto che vorremmo evitare che, in quanto a sberle, si concretizzi il proverbio per cui non c’è il due senza il tre”. Momento difficile per maggioranza e governo in vista della verifica del prossimo 22 giugno, con la Lega che deve fare i conti anche con divisioni interne, considerando che esponenti di primo piano del Carroccio come Luca Zaia hanno scelto di andare a votare per i referendum: “Ho votato quattro sì, ma non ho certo pensato ad una spallata, perché i temi del nucleare e dell’acqua pubblica sono temi etici e non politici”, ha dichiarato il governatore del Veneto. Un segnale invece molto chiaro secondo i democratici. La senatrice del Pd Maria Pia Garavaglia ha dichiarato che “al di là di qualsiasi considerazione sui risultati, i referendum hanno già evidenziato un fatto molto rilevante: Bossi ha craxianamente detto di non votare e Zaia, Tosi e Maroni hanno votato. Basterebbe questo per dare un significato politico alla consultazione”. E alla Lega si rivolgono anche i parlamentari di Futuro e Libertà. Il deputato Francesco Proietti Cosini afferma che il risultato del referendum “dimostra che Pdl e Lega hanno fatto il loro tempo e che i cittadini italiani hanno per la seconda volta in poche settimane messo in minoranza l’asse che, insieme ai Responsabili di Scilipoti, regge questo governo”. Chiede alla Lega “una riflessione” anche il leader del Pd Pier Luigi Bersani: “Si può anche stare con uno che perde, se tu vinci, si può stare con uno che vince e tu perdi, ma stare con uno quando si perde entrambi merita una riflessione, spero la Lega la faccia”. –
”Quando abbiamo cominciato a raccogliere le firme l`anno scorso, perché la legge sia uguale per tutti senza impedimenti illegittimi, per l`acqua, contro il nucleare, ci deridevano, sostenendo che era tempo perso e nel nostro stesso fronte ci davano dei pazzi e ci accusavano di fare un favore a Berlusconi”. Così Antonio Di Pietro invita “i partiti a un gesto di umiltà davanti alla volontà degli elettori. Ha votato il 57% degli italiani aventi diritto e, di questi, il 95% ha detto sì. Quando sento i leader del centrosinistra sostenere che è ‘una vittoria nostra’, penso sia una grande forzatura. Se domani mattina andassimo a votare non ci sarebbe un travaso di questi voti nel centrosinistra: dobbiamo quindi rispetto a quegli elettori che non ci voterebbero o non ci voterebbero ancora, ma che sui temi concreti hanno avuto il coraggio di scegliere non per partito preso, e di non andare al mare. Io che i referendum li ho promossi non ci metto il cappello e prego anche gli altri di non mettercelo. Se dovessimo fare a chi scagliala prima pietra – cioè a chi è senza il peccato di avere dubitato dei referendum – non resterebbe nessuno”. A proposito di nuove elezioni subito aggiunge: “Non sto tacendo: voglio costruire un’alternativa a questo governo. So bene che questa alternativa sarà possibile se conquistiamo la fiducia della maggioranza degli elettori e non con politiche d`odio. Poiché ho dimostrato di sapere fare opposizione al governo Berlusconi con più determinazione di tanti altri, ora che siamo al crepuscolo del berlusconismo, abbiamo il dovere di ricostruire il Paese e questo si fa con un programma di governo e non con la politica urlata”.
E veniamo all’estero: “Sedimentati gli entusiasmi per il quorum raggiunto, è il momento di tirare le somme di una cattiva gestione del voto oltre confine che ha fatto temere, sebbene per poco, che la validità del referendum potesse essere compromessa”. E’ quanto sottolinea Aldo Di Biagio, deputato Fli eletto all’estero. “Ma a ben guardare la configurazione del voto all’estero – spiega il deputato – apparirebbe chiaro anche ad un bambino lo stato di stanchezza dei nostri connazionali verso la minestra riscaldata del tardo berlusconismo sebbene si tratti di una percentuale più bassa di votanti pari al 23,07% rispetto al 39 % delle ultime politiche del 2008, una media del 75% ha votato ‘sì’ ai quattro quesiti referendari, e questo la dice lunga”. “Paradossalmente il legittimo impedimento ha registrato la percentuale di votanti più alta, il 27,12% – spiega – Aspetto, questo, che sottolinea lo scollamento che si sta creando tra le comunità oltre confine e la maggioranza berlusconiana. Soltanto ieri gli amici del Pdl eletti all’estero sventolavano lo spauracchio dei ricorsi in Cassazione in caso di mancato conteggio dei voti esteri nel quorum – evidenzia ancora – strumentalmente consapevoli che la debacle nella gestione dei plichi elettorali oltre confine avrebbe contribuito a scardinare il risultato referendario. Ora sul versante Pdl estero tutto tace. Orecchie basse e coda tra le gambe. A quanto pare sulle criticità della maggioranza il presidente Fini non aveva poi tutti i torti”.
“Questo referendum è una doppia vittoria: quella degli italiani che chiedono e vogliono una Italia diversa ma anche quella degli italiani all’estero che con questa consultazione hanno dimostrato in modo inconfutabile la volontà di far sentire la loro voce. Ci fa quindi piacere che finalmente il sottosegretario Mantica abbia preso atto che il voto all’estero vada migliorato, dopo più di un anno che lo diciamo con delle proposte di leggi ferme sia alla Camera che al Senato”, ha invece dichiarato il responsabile Pd per gli Italiani all’estero, Eugenio Marino. “La partecipazione a questo referendum degli italiani all’estero – ha aggiunto Marino – è la più alta rispetto alle precedenti consultazioni referendarie. Una conferma della volontà dei nostri concittadini di partecipare e di essere informati su quanto accade in Italia. Questo governo, invece di dedicare tempo a riforme improbabili, lavori quindi a quella del voto all’estero cominciando da una riorganizzazione dell’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero). Il Pd anche su questo campo è già pronto. Solo così – conclude Marino – si può rendere effettivo e largamente partecipato il voto degli italiani all’estero”.
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