Gli alimentari marchiati con la croce svizzera devono contenere l’80% di materie prime nostrane
Il marchio svizzero è ambito sul mercato, ma per essere definito abbastanza svizzero e per evitare “imbrogli” da parte dei produttori, il Governo aveva elaborato il progetto di legge “Swissness” nel 2006. Ma quanta materia prima, quante componenti e quanta lavorazione un prodotto deve contenere per vantarsi della denominazione “Swiss Made”? Il Consiglio nazionale ha discusso la scorsa settimana a livello di divergenze il progetto riguardante la protezione dei marchi. Per gli alimentari il Nazionale ha posto l’asticella all’80% delle materie prime elvetiche e per i prodotti industriali si dovrà realizzare in territorio elvetico almeno il 60% dei prezzi di costo. La divergenza con il Consiglio degli Stati per gli alimentari è stata appianata, mentre non c’è stata intensa sulle regole riguardanti i prodotti industriali. Nel settore alimentare alla Camera del popolo sono sorti tentativi di allentare le regole del “Made in Switzerland” con la proposta di distinguere tra generi alimentari debolmente o altamente lavorati. Nel primo caso il tasso sarebbe stato dell’80%, mentre nel secondo si sarebbe abbassato al 60%. “I criteri per definire la lavorazione debole o alta sono complicati”, ha spiegato il ministro Simonetta Sommaruga, che ha difeso il tasso unico, portando ad esempio la difficoltà di spiegare ai consumatori come mai il pane è altamente lavorato, mentre il formaggio è considerato un alimento debolmente lavorato. Argomento che ha convinto la maggioranza dei deputati che con 107 voti contro 80 e 4 astenuti ha deciso per il tasso unico. Il Nazionale si è però differenziato dagli Stati mantenendo una norma speciale per i latticini. Questa categoria potrà dirsi svizzera se i prodotti conteranno al 100% latte elvetico. La regola è passata con 128 voti contro 56 e 7 astenuti e a nulla è valso in questo caso l’argomento del ministro di giustizia, secondo cui questo privilegio non è giustificabile nei confronti di altri prodotti agricoli. Non c’è stata invece intesa tra le due Camere sui prodotti industriali. Il Nazionale ha deciso per la regola più rigida che prevede il 60% dei costi di produzione che dovranno essere realizzati in Svizzera, inclusi ricerca e sviluppo. Gli Stati avevano proposto che la quota si limitasse al 50%, regola tuttora vigente, anche se priva di un’apposita legge. Questa quota è stata difesa comunque da alcuni deputati dei gruppi UDC, PPD, PLR, PBD e Verdi liberali, che volevano consentire il 60% solo al settore dell’orologeria, come richiesto dal presidente della direzione del gruppo Swatch Nick Hayek. L’aumento al 60%, avrebbe secondo alcuni, un impatto negativo sulle piccole e medie imprese (PMI). Di parere contrario Sommaruga che vede “fuori luogo una distinzione fra orologeria e il resto dell’industria”. Così si viene meno all’obiettivo della legge, che vuole disposizioni semplici. Complicate distinzioni non sono nell’interesse dell’economia e restare alla base del 50% significa abbassare i criteri attuali, anche perché la base di calcolo è diversa. Il Nazionale ha seguito le raccomandazioni del ministro adottando il tasso unico con 124 voti contro 67 e 2 astenuti. Il progetto di legge torna ora al Consiglio degli Stati.