Maggioranza bulgara per il sindaco di Firenze che con il 68% sbaraglia Gianni Cuperlo (17,9%) e Pippo Civati (14,1%) e conquista il Pd
Che avrebbe vinto Renzi, nessuno lo metteva in dubbio: si trattava solo di sapere con quale percentuale. Ora la conosciamo: il 68%, oltre le sue e le aspettative di chi aveva capito che nel Pd, con la sua candidatura, ci sarebbe stato uno tsunami. Per la cronaca: Gianni Cuperlo si è fermato al 17,9 e Pippo Civati al 14,1. Se si confrontano i dati delle primarie con quelli congressuali, saltano subito all’occhio alcune considerazioni.
Primo: il 70% contro il 30% degli sconfitti messi insieme. La distanza è enorme, vuol dire che – cosa ovvia – Renzi è un leader forte, votato da una base reale. I due milioni e mezzo di partecipanti sono voti veri, non come quelli che votarono Prodi, unico e supplicato candidato nel 2006, o anche Veltroni nel 2007 o lo stesso Bersani appena l’anno scorso, quando a votare furono solo gli iscritti. Secondo: Renzi nei congressi locali aveva ottenuto il 45% contro il 39% di Cuperlo; domenica scorsa con una base elettorale allargata Cuperlo è rimasto con buona parte dell’apparato, mentre Renzi ha sfondato presso gl’iscritti e soprattutto presso l’elettorato. Il che vuol dire che se l’anno scorso la sfida fosse stata allargata, avrebbe vinto sicuramente lui e, da candidato premier, avrebbe sicuramente ottenuto quel successo che invece è mancato a Bersani. Insomma, nel Pd c’era bisogno di un Renzi per cambiare aria, rinnovare il partito e porre un’ipoteca seria su una nuova prospettiva politica in Italia. Terzo: il Pci, in quanto sigla, fu liquidata da Occhetto nel 1991, ma uomini, programmi e metodi sono sopravvissuti alla sigla per parecchi anni ancora. In sostanza, quell’abiura che non fu fatta vent’anni fa, è stata fatta da Renzi vent’anni dopo, ed è tanto più vera in quanto la rottura con il passato è stata fatta non da un comunista rinnovato, ma da un non comunista, da uno cioè che con quell’eredità non c’entra proprio, essendo tra l’altro di provenienza democristiana. Sia D’Alema, sia Cuperlo hanno garantito che non ci sarà nessuna scissione. Prodi ha invitato vincitori e vinti a “fare squadra”.
Adesso da Renzi ci si aspetta molto, proprio perché ha promesso molto. Anche se si sapeva da tempo, e dunque si era già preparato, tuttavia è un buon segno che già l’indomani, lunedì pomeriggio, abbia annunciato la composizione della sua segreteria. Ma i punti importanti sono altri, e di seguito cerchiamo di delucidarli.
Appena eletto, Renzi ha dichiarato: “Dicono tutti che la sentenza della Corte costituzionale rafforza il governo: io non ne sono sicuro. Finché c’era il Porcellum, infatti, potevano prendere tempo e far finta che al lavoro c’era Quagliariello, uno che la legge elettorale non la farà mai: ora, invece, da Forza Italia alla Lega e da Sel a Grillo, tutti dicono che bisogna intervenire. Ma quando si fa una legge elettorale, poi in genere si va a votare: il governo stia in campana. E non s’impicci della materia”. Secondo Marcello Sorgi (La Stampa) ci saranno frizioni tra Renzi e Letta. Avendo detto che o il governo si dà una mossa o è meglio che vada a casa, Renzi è costretto ad ingranare la marcia, altrimenti finirebbe anche la luna di miele con le aspettative che ha creato tra l’elettorato di sinistra e anche di centro.
Non sappiamo se il periodo concesso al governo sarà di sei mesi o di un anno, sappiamo però che la musica è cambiata. Ecco la dichiarazione del neo segretario: “Perché io in ogni caso incalzerò il governo sulle cose concrete: norme più semplici per il lavoro, più investimenti sulla scuola, abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, taglio delle indennità dei parlamentari”. E ha aggiunto: “Decisivi i primi due mesi, voglio lasciare subito il segno”. Renzi non può aspettare, deve assolutamente dare la sveglia, altrimenti non sarà più credibile come futuro candidato premier. Né si può accontentare di finte riforme. Se ad esempio non abolisce il finanziamento dei partiti – cosa che irriterà molto l’apparato – si giocherà la sua credibilità. Sarà facile, con la percentuale raggiunta, rottamare vecchi dirigenti dell’apparato, ma se non proporrà subito una nuova legge elettorale, un provvedimento che abolisca il finanziamento dei partiti, se non proporrà un taglio drastico della spesa pubblica, eccetera, deluderà l’elettorato chi l’ha votato e chi spera in lui.
E’ chiaro che non potrà fare tutto e subito, ma i segnali si vedranno subito: una cosa è parlare da sindaco di una città, pur importante, come Firenze, altra cosa è parlare in quanto segretario del maggior partito di governo.
Alfano ha rilanciato su gran parte di questi punti, sfidando Renzi. Il punto, adesso, non è che Alfano sfidi Renzi, è quest’ultimo che dice: queste cose le faccio io, quindi nessuna minaccia, anzi, se Alfano non dovesse garantire più la fiducia, meglio per Renzi: l’occasione sarebbe buona per accelerare con le elezioni addirittura prima delle europee, in modo da essere lui il presidente di turno del Consiglio d’Europa. Insomma, il ciclone Renzi sta scompaginando tutte le travi su cui si reggeva la vecchia politica. Un messaggio anche a Casini e Mauro: “Se qualche neocentrista ha tirato fuori la bottiglia di spumante per brindare al proporzionale, noi stasera quella bottiglia gliel’abbiamo fatta andare di traverso”. Renzi ha salvato il bipolarismo: il Pd è partito a vocazione maggioritaria, niente inciuci, nessuna rendita di posizione, o di qua o di là.
Adesso ci sarà la prova dei fatti, ma tutto si può dire di Renzi tranne che non sia né chiaro, né deciso.