Torna alla ribalta il sindaco di Firenze che denuncia l’immobilismo politico e la mancanza di idee chiare
Dopo un mese e mezzo di consultazioni, incontri, dichiarazioni; dopo che Bersani è andato dal presidente della Repubblica a dirgli quello che si sapeva da tempo e cioè che non c’erano i numeri; dopo che Napolitano ha ribadito che lui non ha nessuna intenzione di dimettersi con un mese di anticipo (per non far crollare i mercati, ndr) e che ha costituito una Commissione di 10 saggi per fare proposte in materia istituzionale ed economica; dopo che uno dei saggi, il costituzionalista Valerio Onida, in una conversazione carpita da La Zanzara con la voce di Margherita Hack, ha confessato che era una Commissione inutile, giusto per riempire il tempo che separa dall’elezione del nuovo presidente della Repubblica; dopo che lo stesso Napolitano è intervenuto per dire che la Commissione dei saggi non è inutile, ebbene, dopo tutto questo, è tornato a parlare Matteo Renzi, seminando lo scompiglio nel Pd.
Cosa ha detto di tanto scioccante Renzi? Ha notato che dal 25 febbraio tante cose sono cambiate nel mondo, a cominciare da un Papa nuovo (e, aggiungiamo noi, dai venti di guerra in Corea, ma anche dalle basi di un nuovo equilibrio promosso dai Paesi cosiddetti Brics), solo in Italia, ha precisato il sindaco di Firenze, tutto è fermo. Ecco allora il messaggio: “Basta vivacchiare, il Pd deve decidere: o Berlusconi è il capo degli impresentabili, e allora chiediamo di andare a votare subito; oppure Berlusconi è un interlocutore perché ha dieci milioni di voti. Non è possibile che il noto giurista Migliavacca un giorno proponga ai grillini di votare insieme la richiesta di arresto per Berlusconi, che tra l’altro non è neanche arrivata, e il giorno dopo offra al Pdl la presidenza della convenzione per riscrivere la Carta costituzionale. In un momento si vagheggia Berlusconi in manette, in un altro ci s’incontra di nascosto con Verdini”.
Matteo Renzi spara alcune bordate contro l’attendismo inconcludente del segretario del Pd che “punta a perdere tempo e ad eleggere un nuovo capo dello Stato che ci dia più facilmente l’incarico di fare un nuovo governo”. Bersani, dice Renzi, “riunisca non l’ennesima direzione che diventa una seduta di autocoscienza, ma i gruppi parlamentari e lanciamo una proposta forte: il sindaco d’Italia, una nuova legge elettorale, grazie a cui si sa subito chi ha vinto, l’abolizione del Senato, che diventa la Camera delle autonomie, con i rappresentanti delle Regioni e i sindaci delle grandi città che vanno a Roma e che lavorano senza ulteriori indennità; così il Parlamento è più efficiente e costa la metà”.
E ancora: “In sei mesi si può fare. Come anche l’abolizione delle Province; per davvero, non come s’è fatto finora. Se invece riteniamo che lo spazio per parlare con il centrodestra non ci sia,allora andiamo a votare. Ma in fretta”. Dopo aver criticato l’atteggiamento di Bersani che pietiva una manciata di voti “alla ricerca di un accordicchio politico” con persone come la “capogruppo dei 5 Stelle, che hanno dimostrato arroganza e tracotanza nei nostri confronti”, la stoccata finale: “Se un marziano fosse arrivato in Italia il 25 febbraio, avrebbe visto tre leader convinti di aver vinto o comunque di essere andati bene, più un quarto, Monti, che diceva: in pochi giorni non potevo fare di più”. E aggiunge: “Nel frattempo l’economia attraversa una crisi drammatica (…) Noi non dobbiamo inseguire Grillo. Facciamo noi i tagli alla politica, aboliamo il finanziamento pubblico ai partiti e poi vediamo chi insegue”.
Nel Pd l’intervista di Renzi non è piaciuta, sono rispuntate le delegittimazioni, con accuse varie, tra cui quella di “rotture” e di una futuribile “lista Renzi”, Il contrasto verte in modo particolare sulla “visione Renzi” e sull’abolizione del finanziamento pubblico, che il Pd non vuole eliminare perché, si dice, altrimenti la politica la farebbero solo “i ricchi”. Ciò che non impedisce a Renzi di ribattere: “In Italia abbiamo il più grande finanziamento pubblico ai partiti, non mi pare che questo abbia dissuasi i ricchi dal fare politica”.
Ecco, questi sono i termini del dibattito. Che dire? Due sole osservazioni. La prima è che Renzi da ultimo, ma un paio di settimane fa anche Luca Ricolfi su La Stampa hanno invocato una legge (“necessaria”, “indispensabile”) sulla diminuzione dei parlamentari, sull’abolizione del Senato come doppione, sul Senato come Camera delle autonomie, su maggiori poteri al presidente del Consiglio, sulle competenze legislative delle Regioni e della Camera dei deputati. Ebbene, questa legge è stata approvata nel 2005 dal vituperato Berlusconi con ampia maggioranza in Parlamento, solo che subito furono raccolte le firme – guarda caso dal Pd, da Di Pietro, dai girotondini, da Rifondazione e da tutta la cosiddetta intellighenzia nostrana – e nel referendum del 24-25 giugno del 2006, un paio di mesi dopo la vittoria di Prodi, quella legge fu spazzata via proprio per la propaganda di coloro che ora la invocano.
La seconda osservazione è che Renzi dice delle cose di buon senso, talmente di buon senso che sono scontate, e il guaio è proprio questo, che in Italia è guardato con diffidenza proprio chi dice cose di buon senso.