L’incontro tra il segretario del Pd e il presidente di Forza Italia è durato due ore e mezza e si è concluso con un accordo sulla legge elettorale e sulle riforme costituzionali, accordo presentato alla Direzione del Pd luned`scorso
La dichiarazione con cui Renzi ha sintetizzato il vertice con Berlusconi sabato scorso continua ad essere riproposta da stampa e tv e lo facciamo anche noi. “C’è una profonda sintonia sulla legge elettorale verso un modello che favorisca la governabilità, il bipolarismo e l’eliminazione del potere di ricatto dei partiti più piccoli. Su questo tema abbiamo condiviso l’apertura ad altre forze politiche di scrivere questo testo di legge che per quanto ci riguarda presenteremo alla direzione del Pd affinché voti lunedì alle 16”. A Renzi ha fatto eco il videomessaggio di Berlusconi: “L’accordo con Renzi prevede una nuova legge elettorale che porti al consolidamento dei grandi partiti in un’ottica di semplificazione dello scenario politico. Insieme abbiamo auspicato che tutte le forze politiche possano dare il loro fattivo contributo in Parlamento alla rapida approvazione della legge, che speriamo possa essere largamente condivisa”.
Prima di dare delle valutazioni politiche, va detto che l’accordo non riguarda solo la nuova legge elettorale, ma anche le altre riforme costituzionali. “La profonda sintonia” si estende al titolo V della Costituzione (competenze tra Stato e Regioni) e alla trasformazione del Senato in Camera delle autonomie, con delle precisazioni importanti. La prima è che la riforma del titolo V comporterà l’eliminazione dei rimborsi ai gruppi regionali e la riduzione delle indennità; la seconda è che il futuro Senato non voterà la fiducia al governo e che i senatori non saranno né eletti, né pagati, perché saranno nominati tra i consiglieri regionali, i sindaci e rappresentanti delle istituzioni e come tali già stipendiati.
Ed ora entriamo nel merito delle valutazioni politiche. Nel videomessaggio di Berlusconi c’è una citazione concordata tra i due leader, e cioè “Ho garantito al Segretario Renzi che Forza Italia appoggerà in Parlamento le riforme”. Forza Italia, come è noto, non fa parte della maggioranza, manterrà un giudizio autonomo sul governo Letta, ma concorrerà all’approvazione delle riforme elettorali e costituzionali. C’è dunque una larga base parlamentare che impedirà il ricorso al referendum. Renzi, da parte sua, ha parlato senza mezzi termini della fine del “potere di ricatto dei partiti più piccoli”. Si andrà verso una semplificazione della frammentarizzazione che tanto ha nociuto nel passato remoto e recente alla governabilità e alla stabilità politica.
L’accordo tra i due leader e tra i due partiti più grandi comporta di conseguenza la certezza che le riforme saranno fatte, anche senza il consenso dei partiti più piccoli, però nelle due dichiarazioni si mette l’accento sul fatto che i partiti che sostengono il governo sono sollecitati all’accordo globale. Nessuna esclusività, dunque, ma allo stesso tempo un chiaro messaggio: se gli altri partiti non accettano di contribuire alla definizione dell’accordo finale, la colpa è loro e i due maggiori procederanno.
Nelle ore precedenti e seguenti il vertice, Renzi ha tenuto i contatti con Alfano, Scelta civica e Popolari per l’Italia (Casini e Mauro), in modo tale che nessuno potesse ritenersi escluso dal contributo all’accordo. Il giudizio (quasi) unanime è che essendoci “sintonia” tra Renzi e Berlusconi, gli altri partiti non possono rimanere fuori, pena l’autoesclusione. E se anche togliessero il sostegno al governo, si troverebbero nell’imbarazzante situazione di dover andare alle urne con la legge attuale senza il premio di maggioranza e con una preferenza, ma con una soglia di sbarramento che impedirebbe a molti di raggiungere il quorum. Ad occhio e croce, i partitini sceglieranno, se vorranno opporsi, di frapporre ostacoli in commissione, ma, come detto, con l’accordo Pd-Forza Italia il gioco non potrà riuscire.
Le altre due conseguenze – positive – dell’accordo Renzi-Berlusconi sono in primo luogo che di elezioni non se ne parla prima del 2015, prima cioè che l’iter delle riforme sia concluso, in secondo luogo che Berlusconi non è riuscito a fare le riforme quando guidava il governo, ma ci è riuscito ora che sta all’opposizione. Il miracolo è dovuto alla forza elettorale che ha, ma anche a un nuovo modo di concepire i rapporti personali e politici da parte di Renzi, che non vede nell’avversario il nemico da abbattere, ma solo un avversario che va giudicato sulla base delle idee e dei progetti che ha. Un’altra conseguenza positiva è che La Terza Repubblica che sta per uscire dal vertice di sabato scorso poggerà sulla legittimazione reciproca e non sull’odio, come è accaduto finora. O, per lo meno, le premesse vanno in questa direzione.
Sicuramente sorgeranno ostacoli in itinere. Potrebbero venire dai centristi, ma anche dai bersaniani e dai dalemiani, i quali, però questa volta non solo non potranno contare sulla sponda di Vendola, ma rischieranno anche di fare un buco nell’acqua, data la determinazione di Renzi che, di fronte ad un’eventuale fronda nel Pd, ha detto: “Non m’importa del rimpasto, non m’interessano i diverbi. So che mi sto giocando tutto: la faccia e anche la testa. Ma l’accordo per la nascita della Terza Repubblica è ad un passo e non possiamo sprecare questa occasione. Perciò vado avanti, chi la dura la vince”. La proposta di riforma della legge elettorale presentata alla Direzione del Pd varia leggermente rispetto a quella concordata tra Renzi e Berlusconi, ma è un passo verso la maggioranza di governo. La proposta prevede un premio fino al 53-55% a condizione che si raggiunga il 35% dei voti, con sbarramento del 5%, dell’8% e del 12% per le coalizioni, con resti a livello nazionale e possibilità di un doppio turno di coalizione.