Cgil, un milione in piazza. Camusso: art. 18 non è un totem ideologico, ma una tutela fondamentale
Un milione di persone si sono riunite in piazza San Giovanni lo scorso sabato per dire no alla cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e contrastare il Jobs act; un milione di cartoline indirizzate al premier Matteo Renzi per cambiare verso alle politiche del Governo, ritenute dal sindacato punitive per il mondo del lavoro; un milione di voci per sollecitare misure per la crescita e l’occupazione e per garantire il diritto allo studio. La Cgil ha risposto in modo massiccio all’invito rivolto a lavoratori e pensionati dal segretario generale Susanna Camusso. La sfida lanciata al presidente del consiglio è stata raccolta e, per molti versi, vinta. Camusso ha chiamato “al lavoro e alla lotta”, scaldando la piazza quando ha evocato lo sciopero generale. Avanti con la protesta, dunque, perché “non siamo tristi e non siamo scoraggiati – ha detto – nessuno, neanche questo Governo, potrà cancellare la voce del lavoro”. Dal palco, il leader sindacale ha lanciato un messaggio chiaro al Governo: “Non si illuda a chiedere l’ennesima fiducia in Parlamento. Ci siamo e ci saremo con le nostre proposte. E su quelle continueremo con le nostre iniziative, con gli scioperi articolati e, certo, anche con lo sciopero generale”.
Alla manifestazione hanno partecipato diversi esponenti del Pd, che hanno preferito la piazza alla Leopolda. Stefano Fassina, Cesare Damiano, Guglielmo Epifani; Sergio Cofferati, Gianni Cuperlo, Pippo Civati, Alfredo D’Attorre: la minoranza dei democratici ha fatto una scelta di campo precisa, che tuttavia non significa sabotare il Governo. In realtà, anche Camusso nella sua analisi critica della situazione ha citato molto di più Renzi che l’esecutivo. “Dico al presidente del consiglio…”, ha ripetuto durante l’intervento che ha concluso la giornata di lotta e di festa. “Matteo stai sereno”, ha poi detto riferendosi all’incontro di lunedì al ministero del Lavoro sulla legge di stabilità. “Il presidente del consiglio, evidentemente non contento dell’incontro precedente, ha chiuso la ‘sala verde’ – ha affermato – dovremmo dirgli ‘stai sereno’, non abbiamo rimpianti, non vogliamo la concertazione. I strapuntini non li vogliamo”. Salita sul palco dopo le testimonianze di tredici lavoratori, il flash mob di un gruppo di giovani e il “Nessun dorma” tratto dalla Turandot di Puccini intonato dai 180 lavoratori licenziati del’Opera di Roma, Camusso ha attaccato Renzi, che “ha usato toni non rispettosi” parlando della piazza Cgil, e il finanziere Davide Serra, ospite alla Leopolda, “che si permette di dire che bisogna intervenire sul diritto di sciopero”. Dopo aver puntualizzato che la manifestazione non era una “passerella” e che l’art. 18 per la Cgil “non è un totem ideologico, ma una tutela fondamentale”, Camusso critica anche Confindustria sottolineando che “nessuno in buona fede può dire che licenziando si crea occupazione”.
Parlando alla Leopolda, Matteo Renzi ha preso parola sulle proteste in Piazza San Giovanni: “L’articolo 18 è chiamare un giudice dentro l’azienda a sindacare i motivi per cui si licenzia: dai da lavorare a giudici e avvocati ma non a chi perde il lavoro. Aggrapparsi a una norma degli anni settanta, che la sinistra non votò, è come prendere un i-phone e chiedere dove lo metto il gettone?”. Inoltre ha dichiarato di credere che “la protesta di questi giorni sia sull’articolo 18, non sugli altri capitoli del Jobs act. Noi dobbiamo trovare il modo che ci sia il contratto di lavoro a tempo indeterminato, ma il posto fisso non c’è più e non c’è più perché il mondo è cambiato. Siccome è cambiato tutto, e il modello fordista della fabbrica non esiste più, e la ‘monogamia’ aziendale è in crisi in tutto il mondo, cosa fa un partito di sinistra? Fa un dibattito ideologico sulla coperta di Linus o crea le condizioni perché una persona abbia lo Stato vicino quando perde il posto di lavoro? Chi prende in carico chi perde il posto di lavoro?”. Questa è stata la domanda del presidente del Consiglio nel discorso di conclusione.