Napolitano richiama i partiti sull’urgenza di approvare una nuova legge elettorale ed è subito polemica con Beppe Grillo
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è intervenuto con forza sulla necessità di approvare una nuova legge elettorale prima del 13 dicembre ed è subito scoppiata la polemica. L’urgenza di una nuova legge è dettata non solo da un dibattito che dura da tempo e che non è mai approdato a nulla, ma anche e soprattutto dal fatto che se la Corte Costituzionale, come già si sa, avrà da eccepire sulla costituzionalità di qualche punto della legge attuale, l’Italia, dopo quella data, si troverebbe nella situazione di non avere una legge valida in vigore, con la conseguenza che in caso di scioglimento delle Camere non si potrebbe votare. La polemica è stata innescata dal M5S che ha accusato il presidente di “parzialità”, avendo convocato al Quirinale solo esponenti della maggioranza. La polemica dei grillini è andata oltre la decenza perché hanno accusato Napolitano addirittura di “golpe”, annunciando una procedura d’impeachment, che tuttavia è destinata a non avere nessun seguito.
Il dibattito sulla nuova legge, invece, sembra essersi impennato, tanto è vero che Renzi, alla Convention di Firenze (Leopolda), ha messo in guardia il Pd e gli altri partiti: “Sento una gran voglia di proporzionale nei partiti, ma noi quella voglia gliela faremo passare…”. A cosa si riferisce Renzi? Si riferisce a quella tendenza presente trasversalmente di rinunciare ad una legge di tipo maggioritario per ritornare al proporzionale e quindi alle estenuanti trattative non prima ma dopo le elezioni. Questa tendenza alberga, ad esempio nei centristi, ma anche in qualche settore del Pd e del Pdl-Forza Italia, ed è tornata di attualità allorquando si è notata una convergenza tra l’Udc di Casini e Maio Mauro da una parte e i governativi del Pdl dall’altra, a cui si sarebbe potuta o si potrebbe saldare una parte dell’ala cattolica del Pd, a cominciare da Letta nel caso in cui si dovesse creare una frattura con Renzi sulla tenuta del governo (il tanto temuto o auspicato ritorno della Dc sotto altre spoglie). Si tratta di ipotesi, evidentemente, smentite dagli interessati, ma tali da allarmare sia Renzi che, paradossalmente, lo stesso Berlusconi.
I quali si trovano su due sponde diverse ed opposte, ma che ultimamente hanno fatto identiche constatazioni, pur se con intenti diversi. Ha detto Renzi – e la sua tesi è stata condivisa da Epifani – che se il governo cambia passo, le larghe intese vanno avanti, altrimenti meglio andare al voto. Né Epifani, né Renzi sono interessati ad una fase di fibrillazione permanente al termine della quale ad essere logorato sarebbe il Pd. Renzi non è contro il governo e non perde occasione per ribadire la sua lealtà a Letta, ma la sua marcia trionfale verso la segreteria del Pd e soprattutto la sua voglia di cambiamento, la sua intenzione di non rimanere impigliato nella rete delle correnti (da eliminare), la sua insistenza su una svolta radicale nel metodo e nei contenuti politico-programmatici, lo portano a scontrarsi con un governo che “vivacchia”. Insomma, per Renzi, o “si cambia passo” oppure avvenga quel che è necessario.
Dicevamo anche di Berlusconi. Dopo la riappropriazione di Forza Italia – che nei fatti spinge verso la rottura con i governativi – il leader del centrodestra ha dichiarato: “O si cambia rotta (con il governo, ma anche con il Pd, ndr), o non possiamo andare avanti”. Ed ha elencato una serie di punti: temi economici, legge di Stabilità e soprattutto giustizia e decadenza (sua da senatore).
Letta sta dunque tra due fuochi, anche perché per “cambio di rotta” Renzi e Berlusconi intendono due cose diverse. Comuni sono i temi economici, in quanto, alla prova degli approfondimenti, la legge di Stabilità sta scontentando tutti, in modo particolare il ceto medio-basso, che si vede decurtato del rincaro dell’inflazione in tutto o in parte, e nello stesso tempo non si vedono spiragli nella diminuzione delle tasse, che, anzi, aumentano sotto varie forme. Ma diversi ed opposti sono gl’intenti: Renzi è proiettato verso il futuro, vuole vincere il congresso, creare le condizioni per attuare il suo progetto di partito, vincere le elezioni e governare, mentre Berlusconi vorrebbe contrattare l’alleanza con il Pd su temi certamente governativi, ma soprattutto su un accordo contro la sua decadenza e sui temi della giustizia. Dice: essere alleati per concordare scelte e mantenerle va bene, ma sottostare agli interessi del Pd che vuole eliminarmi, non va bene.
Ora, siccome è impensabile che il Pd voti contro la decadenza di Berlusconi, è chiaro che si va verso un periodo di tensioni pericolose per la stabilità del governo. Letta ha più volte ribadito che lui non ci tiene “a galleggiare”, ma nello stesso tempo, allo stato attuale, con i numeri assicurati dai governativi del Pdl o fuori dal Pdl, si sente sicuro, anzi, teme che i pericoli provengano dal suo partito e in particolare da Renzi.
Insomma, c’è aria di contrasti, ecco perché il presidente Napolitano ha fiutato il pericolo e ha invitato i partiti a darsi una mossa – e velocemente – sulla legge elettorale, ma i partiti continuano a nicchiare, anche perché ci sono divergenze dovute a interessi opposti. C’è forse una proposta di compromesso tra il sistema maggioritario a doppio turno (Renzi: la legge che elegge i sindaci) e la legge attuale, in fondo sostenuta da tanti, nel Pdl e anche nel Pd: lasciarla così come è con le uniche modiche riguardanti una preferenza, ma soprattutto precisando che il premio di maggioranza (su base nazionale sia alla camera che al Senato) scatta solo se si supera il 40%, secondo un precedente accordo tra Pd e Pdl.