Nel colloqui con Napolitano il sindaco di Firenze garantisce un anno di pace al governo a condizione che si facciano le riforme, a cominciare dalla legge elettorale
A pochi giorni dalla sua elezione a segretario del Pd appare sempre più chiaro come sia nel partito che nella politica italiana Renzi stia scompaginando le vecchie coordinate della politica, dei suoi riti e dei suoi programmi. E’ innegabile che con l’entrata in scena del sindaco di Firenze le sorti le decidano in tre – Renzi, Napolitano e Letta – ma è altrettanto evidente come gli ultimi due siano a rimorchio del primo. Un’altra conseguenza è il rimescolamento delle carte all’interno del Pd, con la rottura con il passato e con il mutamento genetico di quel partito.
Letta si è presentato alle Camere in seguito all’uscita dalla maggioranza di Forza Italia ed ha ottenuto la fiducia secondo uno schema concordato con Giorgio Napolitano, ma a nessuno è sfuggito che i toni e i programmi sono il risultato dell’iniziativa del nuovo segretario. Del resto, illuminante è il colloquio che Renzi ha avuto con Napolitano, preoccupato della tenuta della maggioranza per governare l’Italia in un periodo difficile. L’incontro, svoltosi mentre Letta teneva il discorso per la fiducia, è durato due ore, che sono state di chiarimento e di orientamento per il futuro.
Punto primo: Renzi ha sciolto il dubbio elezioni sì, elezioni no, chiarendo: “Siamo tutti d’accordo. Fino al 2015 non si vota, quindi possiamo togliere questo argomento dal tavolo”. Lo stesso Napolitano, poi, in uno dei suoi interventi pubblici, ha tenuto a sottolineare a coloro che scalpitano, Grillo ma anche Berlusconi, che “tanto non si vota”. Punto secondo: Napolitano ha chiesto a Letta di riconoscere Renzi come “interlocutore privilegiato”: ha una maggioranza vastissima, è deciso a farsi valere, bisogna concordare l’agenda con il nuovo attore della politica italiana. Tra parentesi, l’elenco di Letta dei punti programmatici, che saranno definiti meglio in gennaio, sono l’eco di quanto stiamo dicendo. Punto terzo: Renzi ha puntualizzato, a scanso di equivoci, che lui è il nuovo segretario del Pd. Insomma, gli stessi concetti del secondo punto visti dalla visuale di Renzi: “Ho vinto le primarie, l’elettorato del Pd mi ha eletto sulla base di alcuni punti che io ho proposto: taglio dei costi della politica, riforma elettorale, job act, abolizione vera del Senato, che non sia quella roba che propone Quagliariello, nuovo rapporto con l’Europa. Non voglio far saltare il governo su queste cose: voglio che le faccia, sennò sarà un disastro per il Paese e allora verranno veramente a cercarci con i forconi”. Quarto punto: la legge elettorale va fatta subito, non per andare alle elezioni, ma per avere una legge nuova dopo la bocciatura di due norme da parte della Corte Costituzionale. Con un corollario: “A me non interessa quale sia il sistema, purché vi sia una legge maggioritaria che garantisca il bipolarismo. Insomma, il giorno dopo le elezioni si deve sapere chi ha vinto. Non si possono fare pasticci”. Quinto punto: Napolitano è per coinvolgere nella riforma elettorale tutta la maggioranza, quindi Pd, Ncd, Monti, Casini e Mauro, e lo scopo è chiaro, vuole evitare che gli alleati se ne vadano mettendo in crisi il governo. Renzi, dal canto suo, è stato lapidario: cercherà di coinvolgere tutti, anche perché la via parlamentare è quella migliore, anzi, ha già avuto contatti con Grillo e Berlusconi, “ma se Alfano crede di avere un potere di veto, di mandare la storia per le lunghe si sbaglia. Si tratta di una materia che non riguarda la maggioranza e il governo”. Questo sarà sicuramente un punto travagliato. Grillo e Berlusconi hanno interesse a salvaguardare il bipolarismo e ad andare al più presto alle urne; Casini e Mauro, invece, sono come si sa contro il bipolarismo, da cui avrebbero tutto da perdere, perché il loro centro è talmente piccolo da risultare marginale. Monti, invece, potrebbe convergere verso il Pd o con un patto elettorale o con un patto federativo.
Abbiamo detto che il trio Napolitano, Renzi, Letta è il nuovo asse politico-istituzionale della politica italiana. All’interno del Pd Renzi sta portando tutto il partito verso le sue posizioni. Non è ipotizzabile una frattura tra gruppi parlamentari – eletti sotto la gestione Bersani – e nuova maggioranza di partito. Il sottosegretario alla Difesa Roberta Pinotti, ha così commentato la seduta alla Camera: “In aula c’era un clima diverso dal solito”. Le ha fatto eco Giorgio Tonini, vice presidente dei senatori Pd: “Con l’arrivo di Renzi e le sue prime uscite il morale della “truppa” parlamentare è cambiato, il Pd è di nuovo in assetto di battaglia, sente di avere una missione. Letta ha recepito l’essenza dell’agenda Renzi e ha tracciato una linea chiara di politica economica. Se l’intesa va avanti, un Pd a guida “bianca” ha davanti a sé un campo sterminato”.
Il primo risultato è che la legge elettorale comincerà il suo iter dalla Camera e non più dal Senato, da dove era partita. Uno smacco per Alfano. Letta per la prima volta ha messo l’accento sull’abolizione delle Province e sulla fine del bicameralismo. Il programma di Renzi.
Gianni Cuperlo, dopo un primo no, ha accettato di guidare l’Assemblea nazionale del Pd, ma la stoccata di Renzi su D’Alema che non sarà candidato alle europee la dice lunga sulle sorti dell’opposizione interna, ridotta al lumicino perché sul carro del vincitore salteranno quasi tutti, sinceri estimatori e carrieristi in cerca di posti.
Diciamo la verità: un simile trattamento a D’Alema non fa onore a Renzi. La reazione composta di D’Alema all’alt di Renzi dà l’idea del mutamento genetico del Pd impresso da Renzi che, in questo, si colloca nella scia di Craxi e di Berlusconi nei rispettivi partiti.