Etiopia: non ci resta che contare le vittime, anzi, di prenderne atto e ricordarle nel loro passaggio nel nostro mondo. Parliamo di 157 persone in tutto, che viaggiavano a bordo di un aereo dell’Ethiopian Airlines, il Boeing 737 Max, un modello che è momentaneamente sulla bocca di tutti nel tentativo di ricercare le cause del disastro che dovranno in qualche modo venire alla luce, per un minimo di giustizia nei confronti delle vittime, dei familiari e per salvaguardare i voli futuri.
Si tratta, infatti, dello stesso modello dell’aereo della compagnia privata indonesiana Lion Air inabissatosi nel Mar di Giava lo scorso ottobre, con 189 persone morte. Anche in quel caso, pochi minuti dopo il decollo. Due voli, lo stesso modello, che subiscono lo stesso inesorabile destino. È d’obbligo che chi di dovere investighi e cerchi di dare delle risposte. Nel frattempo il primo provvedimento, in via del tutto precauzionale, è quello di tenere a terra tutti gli aerei dello stesso modello. Ma è impossibile non pensare a chi si trovava nello sfortunato volo.
A tutti salta agli occhi quello che i passeggeri di questo volo rappresentavano per il mondo. Molti erano delegati dell’Assemblea dell’Onu per l’Ambiente di Nairobi, come ha confermato Rose Mwebaza della Banca africana per lo sviluppo, altri viaggiavano con passaporto dell’Onu. E che dire dei passeggeri italiani? Paradossalmente tutti lavoravano per migliorare le condizioni di vita di chi sta peggio.
Nello schianto, poco dopo il decollo da Addis Abeba, hanno perso la vita l’archeologo siciliano e assessore alla cultura in Sicilia Sebastiano Tusa, diretto in Kenya, per un progetto dell’Unesco; il presidente dell’Ong Link 2007, Paolo Dieci, un’associazione di coordinamento consortile che raggruppa importanti Organizzazioni Non Governative italiane; sull’aereo viaggiavano anche tre componenti della ong bergamasca Africa Tremila: il presidente Carlo Spini, sua moglie, infermiera, Gabriella Vigiani e il tesoriere della onlus Matteo Ravasio. E ci sono anche tre giovani ragazze impegnate nel programma alimentare mondiale dell’Onu, Virginia Chimenti, funzionaria del World Food Programme dell’Onu, Rosemary Mumbi e Maria Pilar Buzzetti.
È così strano constatare che un volo carico di tanto bene ha portato invece così tanto dolore e non solo per quel che riguarda le vittime connazionali. Per questa sciagura, infatti, sono 35 le nazioni che piangono le proprie vittime. L’aereo caduto in Etiopia trasportava con sé una parte del nostro globo che le cronache di tutto il mondo racconteranno per sempre e che le cronache italiane, per il particolare impegno umanitario a cui erano devote le proprie vittime, non dimenticheranno mai, ricordiamoli anche noi!
foto: Ansa